ASPETTI PSICOLOGICI NEL BAMBINO DIABETICO

 

RAPPORTO CON I CLINICI

di Annetta Vieri

 

"Effetto placebo del medico: formulare una diagnosi, spiegarla in termini accessibili ha già un effetto psicoterapeutico. Dobbiamo a Balint la descrizione di come medico e paziente partecipino allo stesso modo al processo di "etichettamento e organizzazione" della malattia (importanza della qualità dell'ascolto).
Balint parte dal presupposto che nel rapporto medico-paziente, sussista un enorme potenziale terapeutico non sfruttato. Il clima psicologico di tale rapporto influenza fortemente il corso della malattia, soprattutto se cronica (il paziente può trovare nel medico un costante appoggio).
Dove si riesce a stabilire precocemente una buona relazione con il diabetologo e con i clinici in generale vi è una maggiore accettazione della realtà di malattia.
Per i preadoloscenti e gli adolescenti, l'intervento educativo deve avere lo scopo di prevenire le future difficoltà ed assicurare l'accettazione della malattia nei suoi limiti e nella sua cronicità, di stimolare l'autonomia in generale, di favorire la socializzazione e la fiducia nelle proprie possibilità.
E' necessario un approccio medico e psicologico integrato che fornisca un sostegno alla famiglia e al ragazzo fin dall'esordio della malattia, che si ponga come obiettivo prioritario il raggiungimento di una corretta autogestione.
Occorre tener presenti i bisogni e le motivazioni dei ragazzi.
Per questo è importantissimo, oltre al rapporto individuale con i singoli pazienti e le loro famiglie in una prospettiva multidisciplinare, l'organizzazione di gruppi di discussione, di gruppi di auto-aiuto che servano sia ai ragazzi che ai genitori a metabolizzare psichicamente la gestione alimentare, il trattamento insulinico e soprattutto a modulare i più vari aspetti della quotidianità, da quelli comportamentali a quelli emotivi ed istintuali.

 

RAPPORTO CON IL PAZIENTE DIABETICO

Il problema del malato cronico va considerato soprattutto in base alla globalità della persona. Nel diabete il rapporto tra aspetti somatici, psicologici e sociali è particolarmente complesso: la situazione emotiva spesso è determinante nel favorire o peggiorare l'andamento della malattia.
Il problema del paziente diabetico è innanzitutto di istituire un equilibrio con una malattia cronica dove esistono però degli effettivi mezzi terapeutici.
Ne consegue che l'accettazione della propria situazione costituisce solo un primo passo verso un equilibrio tale da permettere di convivere con la propria malattia.
I pazienti diabetici, che vivono in continuo stato di allerta e d'impotenza per un problema che non viene dall'esterno ma che è dentro di loro, possono avere a volte degli atteggiamenti di forte sottomissione e dipendenza orale nei confronti del medico.
Il rapporto con il paziente diabetico deve basarsi invece su una vera collaborazione al fine di un buon lavoro da compiere insieme. Non è un "fai da te" ma un "ponte che unisce medico e paziente". Ed è nella realizzazione di questo rapporto che si inseriscono altre professionalità (infermiere professionale, dietista) quale quella dello psicologo.

 

MOMENTO DELLA DIAGNOSI

La prima modalità d'aiuto che i sanitari possono offrire è quella dell'ascolto: nessuno, bambino o genitore, si deve sentire impossibilitato a rivolgere domande, a dare consigli, ad esprimere le proprie paure. E' attraverso la parola che si arrivano a conoscere e quindi ad affrontare le paure.
Il linguaggio scientifico diviene inadatto alla comunicazione interpersonale perché non calcola le emozioni provocate dalla sua perentoria freddezza.
Vi è una stretta relazione tra le emozioni iniziali e la successiva disponibilità ad essere educati all'autocontrollo e all'autogestione.
L'orientamento più avanzato di cura del diabete infantile consiste in un approccio medico-psicologico centrato sull'individuo visto nella sua globalità somalo-psichica e contemporaneamente in un intervento che includa l'intera famiglia e l'ambiente sociale in cui è inserito.
Soprattutto per quanto riguarda il bambino, fondamentale è l'atteggiamento genitoriale per l'instaurarsi di un corretto rapporto con il personale sanitario e la malattia stessa.
Il primo problema con cui i clinici si devono confrontare è la difficoltà a comunicare la diagnosi di malattia cronica ai familiari.
In questi momenti la diade genitori-figlio ha bisogno di trovare appoggio nella figura del medico: la disponibilità e la l'accessibilità sono d'enorme importanza in quanto riescono a contenere l'ansia del genitore.
Fronteggiare da solo l'angoscia del genitore è molto difficile per il medico che necessita dell'apporto d'altre figure professionali.

 

RAPPORTO TRA I CLINICI E I RAGAZZI DIABETICI E LE LORO FAMIGLIE

Il rapporto clinico-paziente è un importante ambito in cui si giocano le difficoltà emozionali relative al vissuto angoscioso di malattia.
E' difficile stabilire qual è l'atteggiamento "giusto" da assumere nei confronti del paziente diabetico: il contesto familiare e l'atteggiamento psicologico del paziente "in quel momento" sono determinanti "nell'aggiustare il tiro" delle richieste d'adeguamento alle regole e all'autocontrollo.
La figura del sanitario spesso, sia per il bambino che per il ragazzo diabetico, si carica d'immagini negative legate alle iniezioni, alle registrazioni dietetiche, alle indagini cliniche, ai ricoveri ospedalieri e all'osservazione continua delle regole.
Spesso i giovani sperimentano sentimenti di dolorosa solitudine di fronte alla propria malattia: soprattutto gli adolescenti possono attribuire al medico una capacità di comprensione solo "tecnica".
Alcuni bambini, più spesso gli adolescenti ed in alcuni casi i genitori stessi, mentono sulle condotte e falsificano il diario clinico: in questa modalità è anche inscritto il tentativo di rompere il legame di dipendenza dal medico e anche dai regimi terapeutici e affermare l'autonomia e la libertà.
Il concetto stesso di "educazione" sembra costituire uno spazio fantasmatico in cui la figura del medico, in particolar modo se ha seguito il paziente fin da bambino, può essere vissuta come rappresentante della figura genitoriale e può essere oggetto di "identificazione proiettiva" sia da parte dei pazienti che degli stessi genitori.

L'assistenza psicologica nella malattia pediatrica: il diabete mellito insulino dipendente
di M.C. Alessandrelli e S. Di Giuseppe

Aspetti Teorici

Il ruolo di fattori ansiogeni e stressanti sul controllo glicemico è già stato approfondito in letteratura: di fronte ad un evento stressante l’organismo reagisce con un aumento degli ormoni (adrenalina, tiroxina, corticosteroidi, GH) che ha effetto iperglicemizzante e che provoca una diminuzione dei livelli plasmatici di insulina con conseguente aumento dei valori glicemici.

Attualmente si ritiene che gli eventi di vita ansiogeni e stressanti non possano di per sé causare la malattia diabetica; essi possono piuttosto scompensare uno stato pre-diabetico inducendo il diabete conclamato, oppure aggravare i disturbi metabolici della malattia già in atto (Pancheri,1980, Tartaglione et al.1981).

Qualunque sia l’eziologia del diabete l’andamento della malattia, come in genere in tutte le patologie croniche, è comunque influenzata da fattori psicologici. La diagnosi di malattia diabetica provoca innanzitutto un drastico cambiamento nello stile di vita quotidiano, connesso con le attenzioni continue dei genitori e del bambino per monitorare l’andamento metabolico e con i ripetuti interventi terapeutici quotidiani.

È inoltre da considerare che il vissuto di malattia del bambino è strettamente condizionato da quello dei familiari, genitori e parenti. assai più che nel caso in cui ad ammalarsi sia un adulto, che ha raggiunto una propria maturità e stabilità emotiva.

Occorre infine sottolineare che l’evento malattia irrompe nella famiglia improvvisamente, sconvolgendo gli equilibri relazionali ed affettivi preesistenti, qualunque essi siano, funzionali o meno.

Al momento dell’esordio della malattia diabetica, le reazioni più frequentemente riscontrate nei bambini e nei loro genitori sono:

  1. La ferita narcisistica: il bambino malato ed i suoi genitori vivono la malattia come una minaccia della propria integrità ed una ferita al sentimento di salute ed onnipotenza. La malattia rappresenta un’esperienza di perdita per i genitori e per il figlio, un attacco al senso di onnipotenza della madre nel soddisfare tutte le esigenze del figlio prima di tutto la necessità di essere riparato dagli eventi negativi. Nei genitori si sviluppano forti sensi di colpa e responsabilità, perché essi vivono la malattia del figlio come una punizione o come una prova della loro presunta inadeguatezza.
    Il potenziale disagio psichico è connesso anche con l’età del bambino al momento dell’esordio diabetico. La percezione della gravità e della cronicità della malattia è infatti connessa con lo sviluppo dell’organizzazione mentale spazio-temporale e quindi della capacità prospettica e progettuale.

  2. La reazione depressiva: la ferita narcisistica induce sentimenti di angoscia ed inadeguatezza di tipo depressivo. Queste reazioni sono più facilmente osservabili nei genitori. Spesso essi lamentano una perdita del gusto della vita, si vergognano inconsapevolmente della condizione di malattia del figlio, sentono gravemente le limitazioni di vita connesse con la conduzione della malattia cronica (p.e.:si isolano socialmente), amplificano le possibili complicanze future del diabete (potrà avere figli "normali" il loro figlio?, diventerà cieco?, potrà fare attività sportiva?). Nei bambini si possono osservare sia un calo della prestazione scolastica, una maggiore irritabilità generalizzata, oppure l’insorgere di atteggiamenti regressivi, come il dormire nel letto dei genitori.

  3. L’atteggiamento di rifiuto e negazione: una conseguenza molto arcaica e vicina per molti aspetti ai meccanismi di difesa psicotica consiste nel negare lo stato di malattia e banalizzare o trascurare la profilassi quotidiana. L’apparente tranquillità del paziente lascia credere ad una completa padronanza della situazione, ma può invece nascondere profonde angosce depressive.

  4. L’atteggiamento dipendente: il bambino dipende dai genitori in tutto, quindi anche nella gestione della sua malattia. Intorno ai circa 10-11aa egli acquista invece la possibilità di un buon livello di autonomia, poiché è in grado di svolgere da solo la prassi dei controlli clinici a casa e della terapia. Da questo momento i genitori dovrebbero assumere un ruolo di supervisione, non più direttamente esecutivo. E’ stato osservato che là dove gli adulti non riescono a tollerare il raggiungimento dell’autonomia del figlio, questi tendono a diventare passivi e dipendenti, sia nella malattia sia in altre aree comportamentali.

  5. L’atteggiamento perfezionista: consiste in un atteggiamento eccessivamente preciso, ordinato, scrupoloso, nel seguire le indicazioni terapeutiche. Il diabete viene curato in modo ossessivo, non lasciando niente al caso. L’angoscia del paziente è contenuta dai rituali intorno alla malattia.

Nella crisi familiare legata all’esordio diabetico sono inevitabilmente coinvolti anche i fratelli, i quali possono percepire i genitori lontani affettivamente, in quanto troppo preoccupati ed ansiosi per il figlio malato. Spesso si osservano comportamenti nella fratria che denotano aggressività, gelosia, o sensi di colpa nel fratello che si sente ingiustamente sano.

Come abbiamo già accennato, l’atteggiamento iperprotettivo che hanno i genitori verso il figlio diabetico costituisce un fattore aggravante per il normale sviluppo psicologico del bambino: esso provoca spesso una condizione di immaturità affettiva ed un difficile raggiungimento dell’autonomia dalle figure genitoriali ed il sentimento d’identità personale.

Anche l’organizzazione della famiglia intorno alla malattia diabetica del bambino influenza considerevolmente sia l’andamento metabolico, oltre che il raggiungimento di una corretta autogestione della malattia.

Anderson et al. (1980, 1981 e 1984) hanno preso in esame tre gruppi di adolescenti con un controllo metabolico buono, discreto, scarso. Dal confronto è emerso che gli adolescenti con un adeguato controllo erano incoraggiati dai genitori ad essere maggiormente indipendenti, nelle loro famiglie erano presenti meno conflitti, erano meno ansiosi ed avevano una immagine di sé migliore.

Gli studi condotti da Minuchin et al (1980) hanno dato il maggior contributo allo studio delle famiglie con pazienti diabetici. Le caratteristiche che l’autore ha riscontrato nella maggior parte delle famiglie con sintomi psicosomatici sono: l’invischiamento, l’iperprotettività, rigidità, e non risoluzione dei conflitti.

Aspetti Assistenziali

Il Centro Regionale di Diabetologia della Clinica Pediatrica dell’Università di Ancona ha un utenza di circa 120 pazienti ogni anno, di cui 20 nuovi esordi e vengono effettuati circa 500 Day Hospital. L’incidenza della malattia è di 9.8 per 100.000, la maggiore incidenza degli esordi è tra i 5 e 9aa, con una recente tendenza all’aumento di casi nel gruppo di 0-4aa. La distribuzione della malattia è pressochè uguale tra Femmine e Maschi.

Il protocollo psicologico assistenziale da noi utilizzato prevede:

  1. nella fase dell’esordio, durante il ricovero ospedaliero, vengono presi contatti con i genitori e viene effettuata un’osservazione clinica del bambino. Gli obbiettivi, in questo primo momento, sono:

    1. la raccolta di informazioni da utilizzare per formulare una prima ipotesi sulle dinamiche interattive ed affettive della famiglia, e per individuare le potenziali risorse autoterapeutiche del sistema;

    2. l’intervento di sostegno psicologico alla sofferenza emotiva, offrendo uno spazio riservato al genitore che gli consenta di esprimere il proprio disagio, solitamente represso per tutelare il figlio;

    3. per il bambino viene invece proposto un intervento mirato a fornire una spiegazione comprensibile della sua malattia, con linguaggio e strategie comunicative adeguate all’età (uso di materiale didattico-illustrativo, disegni, role-play). Lo psicologo integra le spiegazioni fornite dal medico e dai genitori al bambino, favorendo la comunicazione diretta sulla malattia ed aiutando i genitori a calibrare la comunicazione con il figlio.

  2. Successivamente, nella fase di stabilizzazione della malattia, i contatti con la famiglia avvengono attraverso i periodici ricoveri in Day Hospital. Viene allora effettuata una valutazione psicodiagnostica del bambino, al fine di individuare il profilo di personalità e l’eventuale copresenza di problematiche psicopatologiche. Vengono inoltre proposti protocolli d’indagine, utilizzati in campo nazionale, che includono anche la valutazione dei genitori.
    Nella fase di adattamento alla malattia cronica l’obbiettivo del pediatra e dello psicologo è il sostegno della compliance al trattamento, sapendo che attraverso un buon controllo metabolico si contengono le possibili complicanze diabetiche e si ottimizzano i livelli terapeutici dell’insulina. I problemi più frequentemente osservati nei bambini sono la "fobia del buco" e dei controlli medici, nonché la difficoltà a far rispettare il regime dietetico.

  3. L’educazione sanitaria per la corretta gestione della malattia costituisce infatti il perno fondamentale dell’assistenza al bambino diabetico. Gli interventi in tale direzione hanno carattere permanente e vengono integrati dall’organizzazione di Corsi d’Istruzione Residenziale estivi, tenuti in luoghi di vacanza da un’équipe composta dal medico, infermiere, psicologo, dietista ed animatori.
    I corsi si propongono di fornire educazione sanitaria in un contesto ricreativo e rasserenante (Di Giuseppe 1992, Marigo 1988, Noacco 1988). Ci si rivolge a gruppi di età differente:

    1. da 0 a 10aa, il corso, della durata di 7gg, si svolge con la copresenza dei genitori, perchè essi vengano istruiti ad una corretta gestione dell’alimentazione e delle cure mediche del figlio in un clima di serenità, per favorire la normalizzazione dell’adattamento alla malattia.

    2. da 10 a 14aa, sempre nell’arco di 7gg., l’équipe si dedica ad un gruppo di 20-25 ragazzi diabetici. L’obiettivo in questo caso è l’autogestione della malattia: autoregolazione alimentare e dispendio energetico ed autosomministrazione dello stick per la glicemia e della dose insulinica.
      È stato ripetutamente osservato come, in questo brevissimo arco di tempo, è possibile sbloccare situazioni croniche di dipendenza dai genitori, grazie soprattutto al rinforzo offerto dal gruppo dei coetanei.

    3. da 15 a 18aa. Per questi ragazzi, non più controllati dai genitori, si verifica spesso il fenomeno della ridotta compliance alla terapia ed ai controlli periodici. Gli adolescenti tendono facilmente a comportamenti oppositivi, preoccupanti quando si localizzano nell’area della loro malattia. L’obiettivo del Corso è favorire lo sviluppo dell’autoconsapevolezza, l’avvio di un processo ridecisionale in cui il ragazzo, smettendo di pensare alle cure mediche come forma di subordinazione e dipendenza dal volere genitoriale, decide personalmente di prendersi cura di sé. Autonomia mentale ed autoterapia vengono proposte in associazione in vista della migliore salute psicofisica dell’adulto diabetico.

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