Le ultime notizie sul Diabete. |
Inibire
l'autoimmunità senza immunosoppressione
Un nuovo nanovaccino si è dimostrato in grado di
indurre la remissione del diabete di tipo 1 in un modello animale
della patologia.
Oltre a fornire nuove e preziose informazioni sul
diabete, la ricerca ha anche rivelato un aspetto della patogenesi
della risposta autoimmunitaria che può fornire
una strategia terapeutica per molte patologie
autoimmunitarie.
Il diabete di tipo 1 è una patologia immunitaria
cronica frutto della distruzione delle cellule pancreatiche che
producono insulina operata da specifiche cellule immunitarie, le
cellule T.
"Sfortunatamente, l'eliminazione delle cellule T
che aggrediscono il pancreas non può essere effettuata senza
eliminare anche le cellule T che ci proteggono dalle infezioni e dai
tumori” ha spiegato Pere Santamaria, del Julia McFarlane Diabetes
Research Centre dell'Università di Calgary in Canada.
Santamaria e colleghi, che firmano
un articolo sulla rivista Immunity, volevano trovare un
modo per inibire la risposta autoimmune pericolosa per l'organismo;
nel corso della ricerca hanno scoperto che il
nostro corpo ha un meccanismo in grado di arrestare la progressione
della malattia.
"Essenzialmente esiste una lotta interna tra
cellule T che tendono a causare la malattia e cellule T più deboli
che tendono a inibirla”, ha commentato Santamaria.
I ricercatori hanno anche sviluppato un “vaccino”
basato su una nanotecnologia che in modo selettivo rende più attive
le cellule T deboli rendendole capaci di controbilanciare il danno
causato dalle cellule T iperattive.
Il preparato consiste in nanoparticelle rivestite
da frammenti di proteina rilevanti per il diabete di tipo 1, legati
a molecole del MHC, le stesse che vengono utilizzate
da un altro tipo di globuli bianchi nel
meccanismo di presentazione dell'antigene alle cellulle T nel
processo di risposta immunitaria.
Utilizzando un modello murino del diabete di tipo
1, i ricercatori hanno scoperto che il nanovaccino era in grado di
attenuare la progressione della malattia nei
topi prediabetici e di ristabilire il normale
livello di glicemia nel sangue degli animali.
"Se il paradigma su cui si basa il nanovaccino è
corretto anche per altre patologie autoimmuni, come la sclerosi
multipla, l'artrite reumatoide e altre, la sua
applicazione potrebbe diffondersi”, ha concluso
Santamaria. "In linea di principio, i nanovaccini potrebbero essere
ingegnerizzati con uno qualunque dei
complessi MHC significativi per l'insorgenza
della patologia”. (fc)
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Influenza
“suina” A
Influenza “suina” A (H1N1): Le
raccomandazioni AMD-SID-SIED
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Venerdì 25 Settembre 2009 16:42
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Raccomandazioni alle persone con
diabete mellito
Informazioni
generali
Questa forma
influenzale, in base alle informazioni attuali, non sarà né
più diffusa né più grave rispetto a quelle del passato.
Vi è un alto rischio di contagio
tra persone, ma una bassa pericolosità (le complicanze e la
mortalità stimata non sono superiori alle forme influenzali
del passato).
Come per l’influenza “normale”,
le persone con diabete non hanno più facilità ad
ammalarsi, ma in caso di malattia devono seguire le regole
raccomandate ai soggetti con diabete in corso di malattia
febbrile:
-
contattare il medico,
-
controllare più frequentemente
la glicemia e, se necessario, aggiungere insulina o
aumentarne il dosaggio
-
bere a sufficienza per evitare
la disidratazione
-
prendere, se necessario,
farmaci per febbre, mal di testa, vomito.
Che cosa fare per ridurre il
rischio di contagio:
-
coprire con un fazzoletto naso
e bocca quando si starnutisce
-
lavare frequentemente le mani
con acqua e sapone, soprattutto dopo aver tossito o
starnutito o aver frequentato luoghi e mezzi di
trasporto pubblici
-
evitare di toccare occhi,
naso, bocca con le mani non pulite
Quali sono i sintomi?
Che cosa fare:
Che cosa
non fare:
-
non utilizzare mascherine per
la prevenzione
-
non assumere antibiotici,
vitaminici o farmaci anti-virali come preventivi
-
non sospendere l’ insulina in
caso di inappetenza
Vaccinazione:
-
come per le altre forme di
influenza, la vaccinazione è consigliata alle persone
con diabete
-
non interferisce con l’azione
dei farmaci antidiabetici orali o dell’insulina
-
la normale vaccinazione
anti-influenzale stagionale non offre protezione per
l’influenza “suina”
-
utilizzare la vaccinazione
specifica per virus suino A (H1N1)
Farmaci antivirali (Relenza e
Tamiflu)
-
possono essere impiegati nelle
persone con diabete ma, come nelle persone senza
diabete, hanno modesti benefici
-
non servono per evitare il
contagio
Associazione Medici Diabetologi
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Staminali: promessa contro diabete
Ignazio Marino: da embrionali risultati su topi
(ANSA) - ROMA, 2 APR - Le cellule staminali
sono piu' che una promessa contro il diabete: i primi pazienti
trattati con le adulte sono liberi dai farmaci.Quelli trattati
invece ''con le staminali embrionali si sono ottenuti risultati
straordinari nei topi''. Lo ha detto oggi a Roma il sen. Ignazio
Marino, nel forum Changing Diabetes Barometer. ''Le staminali
embrionali sono un punto che dobbiamo tener presente'', ha rilevato
Marino riferendosi ai primi risultati incoraggianti ottenuti negli
Stati Uniti. |
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Diabete 1, accusato un batterio
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Potrebbe essere un batterio a scatenare il diabete di tipo 1,
insulinodipendente, tipico dell'età giovanile.
L'imputato è il Map, Mycobacterium avium paratuberculosis, "parente"
dei batteri che causano la lebbra e la Tbc e che spesso infetta i
bovini entrando così nella nostra catena alimentare.
È quanto emerge da una ricerca condotta da Leonardo Sechi, docente
di microbiologia dell'Università di Sassari, pubblicata sulla
rivista scientifica internazionale Plos One. Secondo i dati raccolti
dalla ricerca, in Sardegna il 70% dei casi di diabete I è correlato
al Map.
"Diversi studi", ricorda Sechi, "hanno già dimostrato che nei
soggetti geneticamente predisposti il Map è in molti casi
responsabile del morbo di Crohn e della sindrome dell'intestino
irritabile. Oggi sappiamo che in queste persone il Map può indurre
anche lo sviluppo del diabete di tipo I". Non solo: secondo i
ricercatori di Sassari nei diabetici in cui è assente il Map tra le
cause ci potrebbero essere altri microrganismi patogeni.
Dai primi dati elaborati, è emerso che il 70% dei sardi con diabete
di tipo I ha il batterio e che le loro alterazioni genetiche sono
comuni a quelle dei soggetti affetti dal morbo di Crohn. Una
percentuale comparabile è stata, inoltre, riscontrata anche in
Inghilterra dal St. Georges Hospital Medical School University,
partner nello studio. "Il diabete", continua Sechi, "ha un'origine
per il 50% genetica e per il 50% ambientale. Nella nostra regione,
vista la l'elevata presenza di animali da allevamento infetti, il
maggior responsabile è il Map".
Il batterio ha una lunghissima incubazione e, se presente in alte
concentrazioni nel latte, è in grado di resistere alla
pastorizzazione e può quindi essere trasmesso all'uomo attraverso i
formaggi freschi e talvolta addirittura il latte. "Anche se i
campioni di latte pastorizzato sardi studiati non presentavano
tracce di Map vivo", sottolinea Sechi, "la prevenzione deve essere
massima in tutte quelle regioni in cui si verifica una epidemia del
batterio".
Tenere sotto controllo il Map nell'allevamento, concludono gli
esperti, potrebbe infatti aiutare a ridurre l'incidenza del diabete
I nel futuro.
Da Repubblica.it Supplemento Salute
5 febbraio 2009
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Quando la ricerca non conviene
"Negli ultimi due mesi due grandi case farmaceutiche
hanno deciso di non finanziare più alcune importanti ricerche per ragioni
strategiche, di marketing.
Insomma meglio curare che guarire."
L'atto di accusa è del prof. Camillo Ricordi e avviene durante il congresso
mondiale di diabetologia, l'European Association for the Study of Diabetes,
appuntamento annuale che si è svolto quest'anno a Roma.
Il professor Camillo Ricordi dirige il prestigioso Diabetes Research
Institute, il centro ricerche sul diabete e il centro trapianti cellulari
dell'Università di Miami.
Si è laureato all'Università di Milano ma è ormai da anni uno dei più
brillanti cervelli italiani impegnati all'estero.
In sostanza denuncia il prof. Ricordi da parte delle case farmaceutiche non
vi è un interesse a trovare una cura definitiva per le malattie.
La ricerca quindi è finalizzata principalmente a
migliorare le cure dei malati che sono il vero business.
I test sulle staminali potrebbero trovare la via per vincere la malattia per
sempre.
L'obiettivo è arrivare a trapianti di cellule produttrici di insulina o di
isole pancreatiche per curare il diabete in modo definitivo.
Guarda l'intervista al Prof. Ricordi
Ma il grido d'allarme del professor Ricordi non è
isolato, come l'INCHIESTA di Rainews24 ha avuto modo di riscontrare
nell'ambito del trentesimo congresso della Società spagnola di farmacologia.
Una risposta Rainews24 l'ha chiesta anche all'European Federation of
Pharmaceutical Industries and Associations, EFPIA, che rappresenta 43
associazioni di industrie farmaceutiche e 32 delle principali compagnie
farmaceutiche presenti in Europa.
Nel quadro europeo la situazione italiana è ancora più complicata.
Il prof. Pier Luigi Luisi dopo aver insegnato per trent'anni allo Swiss
Federal Institute of Technology di Zurigo (lo stesso dove studiò Einstein),
dal 2002 insegna e prosegue le sue ricerche all'Università di Roma 3.
Un miracolo al quadrato il suo vista la difficoltà nel
reperire i fondi in Italia.
Enzimi, acidi e alcune proteine. E' la ricetta per generare la vita che
persegue il prof. Luisi. Si tratta di bollicine di appena una manciata di
nanométri create in laboratorio. Lo scopo è dare vita alla prima cellula
artificiale assemblando come una scatola del meccano pezzettini presi in
prestito dalla natura.
L'INCHIESTA di Rainews24 si chiude con la speranza che
tra 2 o al massimo 4 anni l'equipe del prof. Luisi riesca ad avere una sorta
di "vivente minimo" con lo scopo di disporre di batteri su misura per nuovi
farmaci.
di Flaviano Masella
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Sconfiggere il diabete: la sfida del San Raffaele
L'Onu l'ha definito
una "emergenza sanitaria planetaria": il diabete, che nel 2000 colpiva 170
milioni di persone, è in crescita continua.
Le stime
dell'Organizzazione mondiale della sanità sono chiare: nel 2030 a soffrirne
nel mondo saranno oltre 360 milioni.
Trovare le cause della malattia - che obbliga a uno stile
di vita rigido e porta il rischio di gravi complicanze croniche - è una
delle grandi sfide della medicina.
Ora l'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, con il
patrocinio del Segretariato sociale della Rai, lancia una campagna per
combattere la patologia e creare
un centro di eccellenza internazionale per la prevenzione
e la cura del diabete di tipo 1, che sta aumentando in particolare fra
bambini e adolescenti.
Il San Raffaele Diabetes Research Institute avrà uno staff
di 50 fra medici, ricercatori e personale di supporto e laboratori di
ricerca su un'area di 500 metri
quadrati all'interno del nuovo dipartimento di medicina
molecolare (Dibit2). E farà parte della DRI Federation, una federazione
internazionale che raccoglie
i diversi DRI nel mondo.
Per avviare i progetti di ricerca del
San Raffaele DRI sono necessari otto milioni di euro e tutti possono dare
una mano: fino all'8 luglio i clienti Tim, Vodafone
e Wind potranno donare due euro
mandando un sms al 48545 o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom.
Per un anno, invece, si potrà contribuire con bollettino postale intestato a
Fondazione Areté Onlus San Raffaele sul conto BANCOPOSTAIMPRESA n° 42437681.
O con un bonifico bancario intestato
a Fondazione Areté Onlus San Raffaele Banca Intesa 2013 Codice IBAN IT62
C030 6901 7650 0002 1600 183.
Ma anche online con carta di credito,
collegandosi al sito del San Raffaele oppure sul sito della campagna "Liberiamo
i condannati dal diabete".
Perché il diabete avanza a ritmi preoccupanti: la maggior
parte di chi ne è colpito si ammala del tipo 2, che colpisce soprattutto
adulti e anziani, è associato a
obesità e sovrappeso e richiede uno stile di vita
corretto, farmaci e più raramente l'insulina.
Ma solo in Italia ogni giorno vengono
diagnosticati quattro nuovi casi di diabete di tipo 1,
quello che prende soprattutto i più piccoli: può apparire
in maniera improvvisa dopo un'incubazione anche di anni e chi ne soffre deve
fare i conti
quotidianamente con una serie di limitazioni che
condizionano la vita. La glicemia dev'essere continuamente controllata e più
volte al giorno va assunta insulina.
La malattia dura tutta la vita e se non si tiene sotto
controllo si rischiano conseguenze serie e croniche al cuore, vasi
sanguigni, sistema nervoso, occhi e reni.
Nei prossimi anni il centro San
Raffaele DRI lavorerà sulla prevenzione del diabete di tipo 1 e sul
trapianto di isole pancreatiche.
Si studieranno anche nuovi test per individuare nel sangue i marcatori
specifici della predisposizione alla malattia e ci si concentrerà sulla
ricerca dei suoi
meccanismi e delle sue cause, oggi
ancora sconosciute.
E a breve partirà un protocollo di sperimentazione basato sulla
somministrazione orale di insulina utilizzata come una sorta vaccino contro
la malattia.
da
Repubblica.it - 26
giugno 2008
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Un gruppo di scienziati americani e' riuscito a
liberare dei topi malati di diabete dagli effetti della malattia usando un
cocktail di quattro farmaci. I topi, che avevano il diabete di tipo 1 o
giovanile, hanno cominciato a produrre da soli l'insulina dopo aver preso il
mix di medicinali. In passato lo stesso team della Harvard University era
riuscito solo a fermare la distruzione delle cellule produttrici di
insulina, non a rigenerarle. Oggi, come si legge sul New Scientist, unendo
un altro farmaco al cocktail precedentemente sperimentato, sono riusciti
anche in questo compito e sperano di poter presto cominciare i trial
sull'uomo. L'ingrediente extra che ha permesso ai topi di tornare a produrre
da se' l'insulina e' un enzima chiamato alfa 1 anti-tripsina, che ha avuto
come effetto un aumento significativo di cellule beta e, sembra, anche una
diminuzione dell'infiammazione del pancreas. (AGI)
Portale Diabete
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Tecnica
operatoria sperimentata alle Molinette
www.portalediabete.org
Grazie a una tecnica
operatoria sperimentata per la prima volta in Italia, i nefrologi
dell'ospedale Molinette hanno regalato ieri una speranza di vita a un
diabetico di 66 anni già stato sottoposto nel 2003 un trapianto di rene. Le
sue condizioni erano peggiorate al punto da richiedere un nuovo intervento,
ma da rendere inutile e troppo rischioso un altro trapianto. All'uomo, che
vive a Villanova Mondovì, affetto da diabete giovanile, sono state così
impiantate le cellule produttrici di insulina prelevate dai pancreas sani di
due donatori, un novarese di 29 anni morto in un incidente stradale e un
alessandrino di 58 stroncato da emorragia cerebrale.
Per portare a termine l'intervento è stata necessaria una piccola maratona
tra laboratorio e camere operatorie. Un chirurgo del centro trapianti del
professor Mauro Salizzoni, Aldo Giacardi, ha espiantato gli organi dei
donatori, quindi i nefrologi Luigi Biancone e Vincenzo Cantaluppi hanno
prelevato e isolato, dall'agglomerato di tutte le cellule prelevate, quelle
produttrici di insulina da iniettare, separandole dagli enzimi destinati
esclusivamente alla funzione digestiva. E dopo dodici ore di laboratorio,
con una tecnica mini-invasiva mai utilizzata prima nel nostro Paese, il
radiologo interventista Dorico Righi ha iniettato le cellule nella giugulare
del paziente, in anestesia locale, anziché ricorrere alla «vecchia» e più
complessa tecnica dell'impianto diretto nel fegato.
E' una speranza in più per tutti diabetici che - per condizioni cliniche
generali o età avanzata - non possono essere sottoposti a un trapianto (o a
un nuovo trapianto) d'organo.
«Uno dei limiti del trapianto di rene nei pazienti diabetici - spiega il
professor Biancone, responsabile del laboratorio che fa parte del reparto di
Nefrologia diretto dal professor Giuseppe Segoloni - è che la carenza di
insulina non solo aggrava le condizioni del malato, ma rischia anche di
compromettere l'efficienza del nuovo organo. Il ricorso alle cellule è
quindi un'arma preziosa perché ha, in più, un effetto protettivo proprio sui
reni».
Il laboratorio di trapianto di insule pancreatiche delle Molinette ha
iniziato la propria attività di isolamento di cellule produttrici di
insulina nel 2004, grazie a un finanziamento della Compagnia di San Paolo e
al contributo di idee del professor Camillo Ricordi, del Diabetes Research
Institute di Miami, uno dei massimi esperti del settore. La scelta di
impiantare le cellule nel fegato, anziché nel pancreas del malato, è legata
alla facilità di attecchimento e vascolarizzazione. Nel fegato, le cellule
dell'insulina, aiutano la regolazione del metabolismo del paziente, mentre
il pancreas, non espiantato, continua a produrre gli enzimi della
digestione.
da La
Stampa.it |
Un monitor glicemico in
funzione 24 ore su 24
Con la
commercializzazione del Guardian RT – a brevissimo disponibile anche in
Italia - non sembra più così lontana la realizzazione del primo ‘Pancreas
Artificiale’: un sistema intelligente che permette un eccellente controllo
dei livelli di glicemia delle persone con diabete insulino-dipendente in
maniera totalmente autonoma.
Medtronic annuncia la
novità, primo passo verso la rivoluzione terapeutica largamente attesa da
pazienti e medici, nei giorni del Congresso annuale dell’Associazione
Europea per lo Studio del Diabete, in corso ad Atene. Il sistema Guardian RT
visualizza letture dei livelli di glucosio ogni cinque minuti, ed allerta i
pazienti quando i livelli diventano troppo alti o troppo bassi.
Vedendo gli indici del glucosio e sentendo gli allarmi sonori, i pazienti
possono intervenire subito per ridurre la severità e la durata delle
fluttuazioni del glucosio che portano a complicazioni acute, come il coma da
iper o ipoglicemia, o a complicazioni croniche che con il tempo possono
compromettere le funzioni di molti organi vitali come cuore, rene e sistema
nervoso.
Il sistema Guardian RT (Real
Time) fa uso di un sensore sottocutaneo del glucosio capace di registrare
ben 288 letture quotidiane, fornendo ai pazienti fino a 100 volte in più le
informazioni che possono ottenere dalle letture con normali glucometri
(tramite gocce di sangue “provocate” con pungidito).
“La possibilità di
leggere in tempo reale la propria glicemia mediante uno strumento tascabile
simile ad un telefonino rappresenta un avanzamento di portata storica per i
pazienti in trattamento insulinico, che grazie a questo sistema acquisiscono
la possibilità di tenere sotto controllo la propria condizione 24 ore su 24”
spiega il
Professor Emanuele Bosi, Direttore del Centro Diabetologia dell’Ospedale San
Raffaele di Milano, che continua:
"I pazienti che usano il
Guardian RT hanno a disposizione molte più informazioni, sono quindi capaci
di prendere decisioni più accurate. Gli allarmi acustici sono estremamente
importanti perché forniscono ai pazienti una maggior garanzia, specialmente
di notte, un momento difficile per chi è a rischio di una ipoglicemia.”
Come
funziona il sistema:
Il sensore continuo del glucosio è un elettrodo molto piccolo che è inserito
sotto cute per mezzo di un insertore (Sen-Serter®), un piccolo dispositivo
che rende l’inserzione del sensore più facile. Il sensore che misura il
glucosio deve venir sostituito ogni tre giorni. Le misurazioni del glucosio
ottenute dal sensore vengono trasmesse via radio ogni cinque minuti da un
trasmettitore al monitor del Guardian RT, che visualizza i valori della
glicemia. Le soglie che fanno scattare l'allarme possono essere prestabilite
ed il sistema viene calibrato due volte al giorno (ogni 12 ore). I pazienti
possono prendere immediate decisioni su alimentazione, esercizio fisico,
terapia insulinica sulla base della necessità del momento. Le decisioni di
carattere terapeutico devono essere confermate da un valore glicemico
ottenuto con un normale glucometro.
Dati e
numeri sul Diabete, nel mondo e in Italia:
o Secondo le stime sono almeno 194 milioni le persone nel Mondo colpite da
diabete, un numero superiore alla somma complessiva delle popolazioni di
Argentina, Australia, Sud Africa, Arabia Saudita e Spagna.
o Oltre 5 milioni di persone nel mondo sono affette da diabete di tipo 1 (la
forma più severa della malattia), 395.000 delle quali sono bambini.
o In Italia, il tipo 1 colpisce circa 120.000 dei 3,1 milioni di individui
che soffrono di diabete.
Da:
www.portalediabete.org |
Primo
trapianto di insule da donatore vivente
Il trapianto di pancreas, o meglio, il trapianto di insule è una delle
opzioni terapeutiche per il diabete tipo-1 instabile. Come tutta la
medicina dei trapianti presenta alcuni problemi tra cui, ovviamente, la
sproporzione tra la richiesta e la disponibilità di organi. La
possibilità di utilizzare un donatore vivente, analogamente a quanto
accade per i reni e, da alcuni ani, per il fegato, è stata finora
ostacolata dalla difficoltà di prelevare parte del pancreas senza
danneggiare il donatore. Recentemente in Giappone è stato effettuato il
primo trapianto di insule da donatore vivente. Una donna di 56 anni ha
donato metà del proprio pancreas da cui sono state estratte circa
400.000 insule poi trapiantate nella figlia di 27 anni.
E' possibile che nei
prossimi anni la donazione di insule diventi una pratica analoga alla
donazione di un rene.
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Cellule
staminali umane stimolano la produzione di insulina in topi diabetici 24 Novembre 2006
Un
trapianto di cellule staminali umane in topi diabetici avrebbe indotto le
cellule beta di topi diabetici a produrre insulina, come riferiscono nel
loro studio i ricercatori nell’ultima pubblicazione della rivista
“Proceedings of the National Academy of Sciences”. Nello studio si ipotizza
che potenti infusioni di cellule possano correggere i disordini metabolici e
guarire i danni futuri causati ai pazienti diabetici. Prima del trapianto, i
topi presentavano gravi iperglicemie e le cellule B e T avevano perso la
loro funzionalità. Dopo 32 giorni, nei topi trattati, si è osservato un
miglioramento delle glicemie, e un incremento di isole pancreatiche e
cellule beta. Nel pancreas dei topi, le cellule umane hanno permesso la
rigenerazione delle cellule che producono insulina. Nel rene, le cellule
umane potrebbero riparare i danni causati dal diabete.
Tratto da
Reuters
Health - Fonte:
Proc Natl Acad Sci.
Novembre 2006 - Traduzione e adattamento a cura di
Ginette Marra |
Primo caso
al mondo di trapianto di cellule pancreatiche in laparoscopia al Policlinico
Umberto I di Roma
Tratto da
Ufficio Stampa e Comunicazione
Azienda
Policlinico Umberto I,
27 Ottobre 2006
Ieri, presso la II Clinica
Chirurgica del Policlinico Umberto I di Roma, è stato eseguito il primo caso
al mondo di trapianto di insule pancreatiche incapsulate con la tecnica
della laparoscopia in addome.
La metodica
dell’incapsulamento delle insule pancreatiche consente di eseguire il
trapianto senza usare quei farmaci immunosoppressivi che vengono
somministrati per evitare il rigetto.
Le insule pancreatiche
provenienti dal laboratorio dell’Università dell’Illinois di Chicago sono
state incapsulate presso il laboratorio dell’Università di Perugia e
successivamente trapiantate a Roma. Il trapianto è stato eseguito su un
paziente di 44 anni della provincia di Roma affetto da diabete di tipo I
dall’età di 10 anni.
Il team chirurgico è composto
dal prof. Pasquale Berloco e dal prof. Massimo Rossi, del Centro Trapianti
del Policlinico Umberto I e dal Gruppo Diabetologico dell’Università di
Perugia coordinato dal prof. Riccardo Calafiore.
Ufficio Stampa e Comunicazione
Azienda Policlinico Umberto I
ufficiostampa@policlinicoumberto1.it
Nota della redazione
di Progetto Diabete:
In realtà non si tratta del primo caso al mondo... sono più di 10 anni che
si tenta di perseguire questa strada e, dalla notizia così come riportata,
non emergono elementi di novità rispetto ai tentativi fatti in passato. Se
avrà successo potrebbe essere il primo caso che funziona, questa sarebbe la
vera notizia...
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4 luglio
2006 "Stato dell'arte del trapianto di isole pancreatiche" |
RIASSUNTO Il trapianto di isole
rappresenta un'attraente opzione terapeutica per un selezionato numero
di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1. Il trapianto, che
consiste nella infusione di isole nella vena porta tramite puntura
transepatica percutanea in anestesia locale, è una procedura semplice,
ripetibile, gravata da poche complicanze. Con gli ultimi protocolli di
immunosoppressione si è in grado oggi di ottenere la
insulino-indipendenza nella maggior parte dei pazienti con un
miglioramento complessivo della omeostasi glucidica che persiste anche
quando il trapianto comincia a perdere parte della sua funzione. I più
importanti problemi ancora da risolvere sono la limitata durata nel
tempo e la necessità della terapia immunosoppressiva con tutti i rischi
che essa comporta. Gli studi in corso sono finalizzati a prolungare la
funzione del trapianto nel tempo e ad ottenere la tolleranza
immunologica che permetta di sospendere la terapia immunosoppressiva.
Parole
chiave Trapianto di isole,
immunosoppressione, diabete mellito di tipo 1, complicanze diabetiche.
Il
trattamento del diabete mellito di tipo 1
basato su iniezioni ripetute quotidiane di insulina è molto impegnativo
e spesso non ben accettato dai pazienti. Inoltre in alcuni casi è
inefficace per un adeguato controllo dei valori glicemici così che nel
tempo si presentano alcune complicanze micro-macro angiopatiche, spesso
gravemente invalidanti.
La
possibilità pertanto di ripristinare la
fisiologica secrezione insulinica nei riceventi rappresenta il traguardo
ultimo della terapia del diabete di tipo 1. Tra le strategie proposte
per il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo il trapianto di
isole si presenta come un'attraente opportunità per la sua semplicità e
per la possibilità di ripeterlo nello stesso ricevente. Il trapianto di
isole consiste in una infusione di isole pancreatiche nel letto portale,
in anestesia locale, per via transepatica percutanea e rappresenta
l'ultima fase di una procedura che ha inizio con l'isolamento e la
purificazione delle isole pancreatiche dalla componente esocrina e
termina con la loro caratterizzazione in vitro (1) . Il
trapianto viene eseguito solo se il tessuto isolato risponde ai
requisiti di sterilità, di vitalità e purezza. Il numero di isole
riconosciuto sufficiente per il ripristino della normoglicemia nel
paziente è nel range di 6000-10000 isole per kg di peso corporeo del
ricevente, numero che talvolta viene raggiunto con isole provenienti da
due pancreas diversi.
I
primi trapianti di isole sono stati
eseguiti in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 già in terapia
con immunosoppressori per un precedente trapianto d'organo. Questi sono
stati a lungo caratterizzati da una bassa percentuale di successo,
espresso sia in termini di insulino-indipendenza, sia in termini di
ripristino di secrezione di C-peptide.
I
risultati clinici sono progressivamente
migliorati soprattutto dopo la introduzione di un nuovo schema di
immunosoppressione che evita l'uso di steroidi e ciclosporina (due
farmaci ritenuti diabetogeni) e che si basa sull'associazione di
tacrolimus e sirolimus a basse dosi, insieme con un iniziale trattamento
di due mesi con anticorpi anti-recettore dell'interleuchina 2 (2) . La
prognosi del trapianto di isole è oggi drasticamente migliorata, con
percentuali di successo, ovvero di pazienti trapiantati che raggiungono
la insulino-indipendenza, prossime al 90% (3) . Gli effetti del
trapianto di isole vanno al di là della semplice insulino-indipendenza.
Anche in caso di funzione parziale del trapianto i pazienti riferiscono
un netto miglioramento della loro qualità di vita e del compenso
glicometabolico (riduzione della emoglobina glicata, della
insulino-resistenza e della produzione epatica di glucosio), del loro
metabolismo proteico e un rallentamento della progressione delle
complicanze diabetiche (4) . I successi ottenuti con questi farmaci sono
stati tali da rendere possibile l'allargamento della indicazione al
trapianto anche a quei pazienti diabetici, non in terapia
immunosoppressiva per un precedente trapianto di organo, ma con un
diabete mellito di tipo 1 instabile, cioè con un'accentuata instabilità
metabolica, con frequenti episodi di ipoglicemia alternata a
chetoacidosi, oppure con complicanze diabetiche rapidamente progressive
nonostante un controllo metabolico al meglio delle terapie
convenzionali.
I
problemi ancora aperti nel trapianto di
isole sono quelli relativi alla durata della funzione delle isole
trapiantate (anche se la ripetizione del trapianto in caso di
esaurimento della prima infusione potrebbe prolungare il periodo di
insulino-indipendenza dei riceventi) e relativi agli effetti a lungo
termine della terapia immunosoppressiva. Alcuni dati presenti in
letteratura indicano un aumento del rischio di neoplasia nei pazienti
sottoposti a terapia immunosoppressiva per un trapianto d'organo. Con
gli attuali schemi terapeutici usati nel trapianto di isole questa
possibilità sembra essere remota, perché il sirolimus, utilizzato oggi
come immunosoppressore, sembra addirittura avere un'attività
antiproliferativa. Tuttavia, solo un prolungato follow-up dei riceventi
potrà dissipare i dubbi su un eventuale effetto neoplastico di questi
nuovi schemi terapeutici. Altri frequenti effetti secondari all'uso dei
nuovi farmaci immunosoppressori sono un peggioramento della funzionalità
renale in pazienti con iniziale nefropatia diabetica, alterazioni
transitorie della crasi ematica, dislipidemia, ulcere mucose (5) .
Ad
oggi la durata del trapianto è limitata.
Il periodo di insulino-indipendenza dura in media 15 mesi a cui segue
una fase di funzione parziale nei pazienti che mantengono una riduzione
del loro fabbisogno insulinico rispetto ai valori pre-trapianto, con
concentrazioni sieriche di c-peptide > 0,5 ng/ml, con un compenso
glicemico globale stabile e ben controllato (5) . Tra le ipotesi che
spiegano la progressiva diminuzione della funzione del trapianto si
ricorda l'esaurimento funzionale delle isole conseguente a fenomeni di
glucotossicità, il rigetto cronico, la riaccensione dell'autoimmunità,
la tossicità farmacologica degli immunosoppressori sulle beta-cellule,
il mancato rimodellamento delle beta-cellule che non vengono sostituite
una volta andate in corso a fenomeni di necrosi o di apoptosi.
Le
prospettive di sviluppo del trapianto di
isole promettono grandi cambiamenti nei prossimi anni. Un primo settore
di studio è rappresentato dalla identificazione di nuove strategie
farmacologiche per migliorare l'attecchimento delle isole e ridurre
quindi il numero di isole necessarie ad ottenere l'insulino-indipendenza.
Tra i farmaci proposti, i più promettenti sono quelli con proprietà
anti-infiammatorie e quelli che inibiscono la cascata coagulativa,
fenomeni responsabili di una drastica riduzione della vitalità della
massa beta-cellulare trapiantata (6) . Sono poi stati proposti
protocolli di trattamento per ridurre la tossicità dei farmaci
immunosoppressori gravati da minori effetti collaterali e con altre per
le quali è prevista la sospensione dopo un certo periodo di trattamento
al fine di verificare l'avvenuta tolleranza verso il tessuto allo genico
(7) . Infine una menzione particolare spetta alla possibilità di
integrare il programma di trapianto di isole con quello della terapia
con cellule staminali. Il pancreas endocrino sembra essere soggetto
all'interno del corpo umano ad una sorta di rimodellamento continuo in
risposta alle diverse esigenze metaboliche dell'individuo: in presenza
di un aumento del fabbisogno metabolico (obesità, gravidanza) si ha un
incremento dei fenomeno di neogenesi di beta-cellule e invece in caso di
digiuno prolungato e dimagrimento si ha riduzione della massa
beta-cellulare tramite l'innesco di fenomeni apoptotici. La possibilità
di conoscere e quindi di controllare i processi che portano alla
neogenesi delle beta-cellule dovrebbe permettere di ottenere in
laboratorio una massa beta-cellulare sufficiente a trapiantare molti
pazienti o addirittura a prolungare la funzione del trapianto nel tempo.
È stato infatti dimostrato che la contaminazione dei preparato di isole
umane con cellule duttali (ritenuti da alcuni i precursori delle beta
cellule) sia correlata con la funzione a lungo termine delle isole
stesse una volte trapiantate (8) . L'elevato numero di lavori usciti nel
campo della neo-genesi beta cellulare, utilizzando tra l'altro approcci
e modelli di studio differenti, rafforzano in qualche modo la validità
dell'idea di base e fanno sperare in una rapida evoluzione di questi
studi verso l'applicazione in campo clinico.
In
conclusione i risultati clinici ottenuti
permettono di considerare oggi il trapianto di isole come una reale
opzione terapeutica in un sottogruppo selezionato di pazienti affetti da
diabete mellito di tipo 1.
Le attuali ricerche integrate tra loro nel campo immunologico,
metabolico, bio-ingegneristico e bio-molecolare sono di buon auspicio
per la risoluzione dei problemi che ancora ne limitano l'applicazione in
larga scala.
|
di
Federico Bertuzzi 1 e Camillo Ricordi 2
1 Istituto Scientifico San Raffaele, Milano, Italia
2 Diabetes Research Institute, University of Miami School of
Medicine, Miami, USA
IL PUNTO SU
Stato dell'arte del trapianto di insule
pancreatiche
Federico Bertuzzi, Camillo Ricordi
Copyright
Trapianti 2006; X: 71-74
4 luglio 2006
|
|
1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006
Diabete
e Tecnologia
IL TRAPIANTO DI ISOLE
PANCREATICHE E DI CELLULE STAMINALI: STATO DELL'ARTE
"Federico Bertuzzi"
Istituto Scientifico San Raffaele – Milano
Il trapianto di isole è stato proposto come procedura in grado di
ripristinare una fisiologica e stabile funzione
endocrino-pancreatica in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1.
Consiste nell’infusione di isole pancreatiche in anestesia locale, per
via transepatica percutanea, in pazienti affetti
da diabete mellito di tipo 1. Era già stato ampiamente dimostrato che
l’infusione intraepatica di isole isolatefosse in
grado di ripristinare la normoglicemia in pazienti diabetici uremici già
sottoposti a trapianto di rene.
I risultati clinici sono progressivamente migliorati con l’affinamento
delle procedure di isolamento e con
l’introduzione di una nuova terapia immunosoppressiva con anticorpi anti
recettore per la interluchina 2 nella fase
di induzione, sirolimus e tacrolimus a basse dosi per il trattamento a
lungo termine.
I successi ottenuti con questi farmaci sono stati tali da rendere
possibile l’allargamento dell’indicazione al trapianto
anche a quei pazienti diabetici, non in terapia immunosoppressiva per un
precedente trapianto di organo, ma con un
diabete mellito di tipo 1 instabile, cioè con una accentuata instabilità
metabolica, con frequenti episodi di ipoglicemia
alternata a chetoacidosi, oppure con complicanze diabetiche rapidamente
progressive nonostante un controllo
metabolico al meglio delle terapie convenzionali. I dati pubblicati e le
recenti comunicazioni scientifiche ai congressi
riportano ormai percentuali di insulino indipendenza prossime a quelle
ottenute con il trapianto di solo pancreas,
che tuttavia perdono la funzione progressivamente nel tempo.
Analogamente a quanto osservato con il trapianto di pancreas, il
trapianto di isole è in grado di esercitare una
prevenzione sulle complicanze croniche del diabete, essendo in grado di
migliorare il metabolismo glucidico e proteico
anche nei casi di funzione parziale. Tra i problemi ancora presenti
ricordiamo l’attecchimento delle isole nel sito
di trapianto, il loro esaurimento funzionale, la riattivazione della
risposta
autoimmune, il rigetto. Le nuove conoscenze sui meccanismi che regolano
la differenziazione beta cellulare
permettono di ipotizzare per i prossimi anni l’avvento di strategie di
trapianto combinato di isole pancreatiche
e di precursori beta cellulari. Il pancreas infatti è considerato un
organo soggetto a un continuo processo di
rimodellamento tale da permettergli di adattarsi alle variabili
condizioni metaboliche che si presentano nel corso
della vita di un individuo. A tal proposito alcuni studi hanno
identificato alcune cellule che sottoposte a determinati
stimoli possono differenziare in beta cellule.
Tra queste le cellule duttali appaiono essere le candidate più
convincenti anche se alcuni ricercatori hanno suggerito
che le beta cellule derivino da cellule staminali mesenchimali.
Nei prossimi anni si attendono importanti novità in questo settore. |
Staminali: dal 2007 "officina"
ripara tessuti |
ROMA, 27 APRILE
- Sara' come una grande officina dove con le cellule staminali del
cordone ombelicale e dei tessuti adulti si proveranno a curare molte
malattie oggi ancora in attesa di terapie risolutive, a riparare organi
e tessuti, inoltre dove le staminali saranno studiate per capire i
processi che le fanno ammalare causando il cancro.
E' il ''Laboratorio
Interdisciplinare sulle Cellule Staminali e le Terapie Cellulari'' che
aprira' i battenti entro giugno 2007 al secondo piano del Policlinico
Gemelli di Roma, come annunciato oggi in un incontro con la stampa per
presentare la campagna per il cinque per mille all'universita' cattolica
promossa da Fipe-Confcommercio.
La struttura, che
aprira' quando saranno ultimati i lavori di ristrutturazione di vecchi
laboratori gia' esistenti, ha richiesto un investimento di sei milioni
di euro, ha affermato il Direttore amministrativo dell'Universita'
Antonio Cicchetti.
Il 'maxi-laboratorio' e' il frutto della volonta' di compattare tutte le
forze universitarie che lavorano su staminali, oggi dislocate nei vari
dipartimenti dell'ateneo, in un unico centro dove i diversi gruppi di
ricerca attivi in questo campo potranno lavorare insieme e in
prospettiva collaborare anche con altri centri di ricerca italiani e
stranieri, ha spiegato il Preside della facolta' di Medicina e Chirurgia
Paolo Magistrelli.
''Con la nascita di questo laboratorio - ha osservato Magistrelli - l'Universita'
Cattolica porta le staminali in testa alle sue priorita' nell'elenco
della ricerca, cosa che e' il segno di una svolta nel modo di trovare
soluzione a diversi problemi medici''.
Tantissimi gli
obiettivi che si prefissa di raggiungere l'ateneo con la messa in
attivita' di questa struttura che sara' provvista della piu' moderna
strumentazione e di una camera bianca necessaria a compiere molte delle
manipolazioni che servono allo studio e alla coltivazione delle
staminali, ha proseguito Magistrelli.
Un obiettivo che sta
a cuore al Preside della facolta' di Medicina riguarda la possibilita'
di curare il
diabete
insulino-dipendente (o giovanile) ricostruendo le cellule produttrici di
insulina (cellule beta)
con
staminali adulte o da cordone.
''Anche se e' difficile prevedere i tempi per arrivare ad applicazioni
cliniche dell'uso delle staminali nel diabete - ha
osservato Magistrelli - il filone di ricerca e' molto promettente
perche' ci sono sperimentazioni in corso che dimostrano come sia
le staminali del cordone ombelicale, sia quelle adulte pancreatiche
possono trasformarsi e rigenerare la parte di pancreas mancante nel
diabete''.
Ma il
diabete e' solo uno dei settori di punta che sara' portato
avanti nel 'super-laboratorio', al suo interno infatti partiranno
molteplici filoni di ricerca per l'uso di staminali per riparare danni
epatici, muscolari, ossei, del muscolo cardiaco, del sistema nervoso per
curare malattie in utero prima ancora della nascita del bimbo, per
capire come sconfiggere i tumori, ha aggiunto Magistrelli.
Si e' compreso ormai il valore delle staminali che si raccolgono nel
sangue del cordone ombelicale, per la cui conservazione il Gemelli
dispone di una banca; in questo laboratorio strumenti e potenzialita'
verranno messe in comune per giungere al piu' presto a risultati
applicativi della ricerca sulle staminali, ha concluso Magistrelli. .
|
(ANSA) |
|
3
Febbraio 2006
Brasile. Staminali adulte contro il diabete
|
Un gruppo di
scienziati brasiliani ha reso noti i risultati positivi preliminari di una
ricerca per il trattamento del diabete di tipo 1 mediante l'utilizzo di
cellule staminali. La Facolta' di Medicina della citta' paulista di
Riberao Preto
ha preso in esame 10
pazienti, 8 hanno registrato un miglioramento non essendo piu' dipendenti
da insulina,
mentre gli altri 2
hanno abbassato la dose quotidiana.
L'esperimento realizzato tra gennaio e marzo del 2004 consisteva
nell'autotrapianto di staminali del midollo osseo dello stesso paziente. A
distanza di due anni gli otto pazienti non hanno piu' avuto bisogno di
insulina, ma ancora non e' chiaro il comportamento delle cellule staminali
dentro l'organismo per definire se si sono trasformate in cellule beta
(produttrici di insulina) dentro il pancreas oppure se hanno stimolato la
rigenerazione di nuove cellule.
|
Ansa 21.09.2005
E' stato effettuato con successo, per la prima volta al mondo, un
trapianto combinato di cellule staminali prelevate dal midollo osseo insieme
a cellule del pancreas, su una donna affetta da diabete insulino dipendente.
L'intervento e' stato effettuato da un team di clinici italiani all'universita'
di Miami, coordinati dal dottor Camillo Ricordi
in una donna italiana di 44 anni.
A due mesi dal trapianto i parametri biologici della donna sono stati
definiti ottimi: la glicemia, ha spiegato Ricordi, si e' normalizzata e
stabilizzata. ''E' la prima volta - ha detto Ricordi - che abbiamo ottenuto
l'indipendenza dall'insulina dopo una singola infusione di cellule che
producono insulina e due infusioni di cellule staminali purificate dal
midollo osseo di uno stesso donatore''.
Il dottor Ricordi ha spiegato che l'intervento effettuato sulla donna e' il
primo di sei autorizzati dalla
Food and Drug Administration.
''La nostra idea - ha aggiunto da Miami - e' quella di purificare cellule
staminali dal midollo osseo e far coesistere il sistema immunitario del
donatore con quello del ricevente e far accettare meglio le cellule delle
isole pancreatiche che normalmente producono insulina. Se questa strategia
sara' vincente - ha aggiunto -
pensiamo di poter in futuro diminuire i farmaci immunoppressori.
Quello effettuato fino ad ora e' il primo trapianto combinato del
genere - ha sottolineato - e l'obiettivo e' di trasferire le tecniche dello
studio nei centri italiani dove si effettuano trapianti di isole
pancreatiche''.
''Da quando abbiamo effettuato il primo trapianto di isole pancreatiche nel
1990 - ha detto Ricordi - ci siamo concentrati sullo sviluppo di strategie
per ridurre o eliminare nel tempo i farmaci antirigetto. E' presto per dire
se questo studio ci permettera' di raggiungere questo obiettivo ma siamo
davvero entusiasti di questo iniziale successo''.
Le procedure della ricerca condotta negli Stati Uniti richiedono l'uso di
donatori multipli; quando un donatore e' disponibile i medici prelevano
anche il midollo osseo dal quale estraggono le cellule staminali.
I ricercatori sperano che con questa strategia combinata si possa creare il
cosiddetto 'chimerismo', cioe' una condizione nella quale le staminali del
donatore potranno coesistere con il sistema immunitario del ricevente.
Il primo paziente trapiantato, una donna italiana, grazie all'innovativo ma
ancora sperimentale intervento, non ha bisogno da due mesi di insulina
mentre continua ad assumere farmaci antirigetto. Se i parametri rimarranno
positivi, in futuro si valutera' la possibile sospensione anche di questi
medicinali.
|
Organoidi contro il diabete
Miami
– Il trapianto di organoidi potrebbe rappresentare il futuro della terapia
del diabete. Piccole strutture ibride, per metà inerti e per metà viventi,
da impiantare sotto la pelle o nell’addome, capaci di produrre insulina per
tempi lunghi. In attesa che il sogno delle staminali possa diventare realtà.
L’idea è di un italiano, Camillo Ricordi che dirige il Diabetes Research
Institute alla Miller Medical School di Miami, uno dei più prestigiosi degli
Stati Uniti.
«Gia
oggi si ricorre al trapianto di isole pancreatiche, produttrici di insulina–
spiega Ricordi. – Le cellule vengono iniettate nella vena che arriva al
fegato e l’organo, grazie a questa operazione di ingegneria tessutale,
comincia a funzionare anche da pancreas»
Ma non
sempre questi trapianti durano e lungo: dopo 4 o 5 anni ne funziona l’80 per
cento, ma soltanto nel 20-30 per cento si può fare a meno dell’insulina. E
comunque richiedono una terapia immunosoppressiva che serve per evitare il
rigetto del trapianto e anche per impedire che l’organismo replichi i
meccanismi di aggressione verso le cellule che hanno provocato il diabete
stesso.
Per
questo motivo si cerca di «proteggere» le isole in modi diversi. Per esempio
incapsulandole, una per una, in microsfere. Ma non è l’ideale. Le nuove
macrocapsule proposte da Ricordi, invece, presentano alcuni vantaggi:
riescono a contenere più isole, senza schiacciarle, e sono dotate di
piccolissimi fori. Questi ultimi lasciano entrare i capillari che via via si
formano attorno alla capsula. Così vengono assicurati ossigeno e nutrienti
alle cellule che, in questo modo, sopravvivono di più.
I primi
esperimenti condotti da Ricordi e presentati in anteprima a Miami nel corso
del primo Italy - Americas medical congress, suggeriscono una durata di
oltre quattro mesi negli animali da esperimento.
«I
possibili candidati a questo tipo di terapia? - Risponde Ricordi. – Buona
parte dei diabetici di tipo primo, quello giovanile, che non rispondono più
all’insulina e anche quelli di tipo secondo, che insorge nell’adulto.
Complessivamente potrebbero essere dieci milioni negli Stati Uniti e 2
milioni in Italia»
Il
gruppo di Ricordi ha pubblicato su Nature di questa settimana un altro
lavoro di grande importanza scientifica: la dimostrazione che esistono, nei
linfonodi vicino al pancreas, cellule del sistema immunitario, chiamati
linfociti T , capaci di distruggere una porzione di insulina e di innescare
la distruzione delle isole pancreatiche che la producono. E’ un risultato
che potrebbe aiutare nella costruzione di un vaccino per prevenire il
diabete.
«Se è
vero che l’insulina è una delle molecole bersaglio dell’aggressione
immunitaria responsabile del diabete – commenta Alberto Pugliese, immunologo
all’Università di Miami - dobbiamo cercare di impedire quest’ultima. Come?
Somministrando insulina per bocca, ad esempio, in modo da rendere
l’organismo “tollerante” e non più aggressivo»
Come
dire che l’insulina potrebbe essere usata come una sorta di vaccino capace
di prevenire il diabete nelle persone a rischio. E i primi esperimenti lo
confermano. Il diabete è una malattia che colpisce oggi 150 milioni di
persone in tutto il mondo (il 10 per cento soffre di diabete di tipo primo):
è già un’epidemia, ma si prevede che nei prossimi anni i casi
raddoppieranno: 300 milioni nel 2020.
Adriana
Bazzi
12
maggio 2005
Da:
http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2005/05_Maggio/12/ART_dia
bete-organoidi.shtml
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DIABETE GIOVANILE: L' INSULINA SCATENA LA MALATTIA
(ANSA)
- ROMA, 11 MAG - Trovata finalmente la causa scatenante del diabete
giovanile: e' lo stesso ormone insulina che l'individuo produce prima di
ammalarsi a scatenare la risposta auto-immunitaria alla base della malattia.
A dare la notizia e' la rivista Nature, con due ricerche condotte,
indipendentemente, da George Eisenbarth del Health Sciences Center presso la
University of Colorado a Denver e David Hafler, della Harvard Medical School
di Boston.
La
scoperta rappresenta un balzo in avanti nella comprensione dei complessi
meccanismi biologici di questa malattia e apre la strada a nuove
possibilita' preventive oltre che terapeutiche.
Il
diabete giovanile, che colpisce negli Usa un giovane ogni 400-500, e' una
malattia autoimmune in cui cioe' il sistema immunitario della persona
diventa suo nemico andando a distruggere le cellule produttrici di insulina,
ovvero le cellule beta nel pancreas. Senza di esse il corpo rimane
sprovvisto dell'ormone che e' invece vitale per controllare il metabolismo
degli zuccheri e regolare la glicemia. Coloro che si ammalano sono costretti
ad iniezioni di insulina mentre si va facendo strada la possibilita' del
trapianto di nuove cellule beta.
Nonostante tutte queste informazioni, per anni e' rimasto il mistero su cosa
scateni la malattia, vale a dire cosa faccia impazzire il sistema
immunitario innescando il processo di autodistruzione del pancreas. Di certo
la malattia ha alla base fattori genetici che determinano la diversa
suscettibilita' individuale. Ma la suscettibilita' non necessariamente porta
ad ammalarsi, quindi ci sono altri fattori in gioco. Gli esperti di tutto il
mondo si sono avvicendati proponendo ipotesi come infezioni o altri agenti
esterni che stuzzicano le difese del corpo accendendo la miccia che fa
scattare il diabete.
Ma la
vera risposta sembra arrivare con i due lavori pubblicati sulla rivista
britannica.
Nel
primo, topolini destinati a divenire diabetici sono stati geneticamente
modificati in modo da divenire incapaci di produrre la propria insulina che
viene sostituita con insulina ottenuta con metodi biotecnologici. Questi
topolini che crescono senza la loro insulina rimangono al riparo dal diabete
e non si ammalano come altrimenti avverrebbe loro.
Nel
secondo studio invece, condotto su pazienti diabetici, gli esperti hanno
isolato le loro cellule immunitarie dai linfonodi pancreatici e le hanno
testate in vitro. Il 50% di queste cellule riconosce l'insulina umana e
reagisce con essa. La stessa prova invece, ripetuta con le cellule
immunitarie di individui sani, da' un esito del tutto diverso: le cellule di
difesa di individui sani in nessun caso riconoscono e reagiscono con
l'insulina umana.
Tutto
lascia quindi pensare che la risposta al perche' ad un certo punto in
individui predisposti il sistema immunitario vada a far danni va cercata
nell'ormone prodotto dai futuri diabetici prima che il loro pancreas venga
messo KO dalla malattia.
Le
prossime indagini verteranno a far luce su questo punto, hanno concluso gli
esperti.(ANSA).
Il Dr
Camillo Ricordi, ricercatore italiano presso l'University of Miami negli
Stati Uniti e presidente dell'ISMETT di Palermo, nonche' Professore di
Chirurgia e Direttore Scientifico del DRI di Miami, ha cosi' commentato: "In
pratica abbiamo trovato che i linfociti prelevati dai linfonodi che drenano
dal pancreas di soggetti diabetici di tipo 1 riconoscono specificamente un
segmento della molecola insulinica (A1-15, catena alfa), indicando che
questo potrebbe essere il target della risposta autoimmune."
|
Una
'fabbrica' di cellule staminali per la cura dei pazienti degli ospedali
del Sud Italia e dei Paesi del Mediterraneo. E' la sfida che l'Ismett
(Istituto Mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta
specializzazione), in collaborazione col centro medico dell'Universita' di
Pittsburgh (Stati Uniti) lancia a Palermo.
L'obiettivo a lungo termine e' realizzare nel capoluogo siciliano un
centro di ricerca biotecnologica e biomedica per avviare la
sperimentazione di terapie cellulari e farmaci relativi.
Il punto di partenza e' un finanziamento del ministero per l'Innovazione
di cinque milioni di euro in due anni. "Ma siamo anche alla ricerca di
fondi europei e americani" -spiega Bruno Gridelli, direttore
scientifico dell'Ismett- vogliamo sviluppare a Palermo un centro che porti
alla creazione di un incubatore di aziende biotecnologiche".
Il primo progetto che partira' ha come scopo la valutazione della
sicurezza dell'uso di cellule staminali adulte provenienti dal midollo del
paziente e coinvolgera' una cinquantina di gravi infartuati.
Tra qualche mese dovrebbe avviarsi anche l'attivita' di trapianto di "insulae"
pancreatiche, un metodo innovativo che consente di infondere questi
mini-organi, contenenti le cellule beta che producono l'insulina, al posto
dell'intero pancreas nei pazienti ammalati di diabete.
|
Diabete, mamma salva figlia con un trapianto
In Giappone, grazie al primo trapianto
di cellule pancreatiche da donatore vivo, una mamma ha guarito e salvato una
giovane diabetica. Le cellule di pancreas di una donna di 56 anni hanno
guarito la figlia ventisettenne dal diabete grazie all’équipe di James
Shapiro, dell’Università
di Alberta (Canada).
L’intervento, come riferito in una nota
dell’ateneo statunitense, è avvenuto all’Università
di Kyoto con la supervisione di Koichi Tanaka e Shapiro il 19 gennaio
scorso. La giovane donna, affetta dal diabete giovanile o di tipo 1, era in
lista d’attesa dal 2004 per ricevere un trapianto da cadavere. Purtroppo in
Giappone le donazioni da cadavere sono scarse e le condizioni della ragazza
in attesa si erano pericolosamente aggravate prima del trapianto. Più volte
la ragazza era andata incontro a coma per ipoglicemia spingendo i chirurghi
a provare la nuova tecnica.
Il diabete giovanile o di tipo 1 è una
malattia auto-immune, ovvero il sistema immunitario impazzisce e attacca il
pancreas distruggendo le isole di Langherans, le cellule pancreatiche
deputate alla produzione dell’ormone insulina. L’insulina serve a regolare
il livello di zucchero nel sangue (glicemia). Dopo la digestione la glicemia
aumenta. Istantaneamente il pancreas rilascia insulina che fa assorbire
zucchero ai tessuti riportando la glicemia a valori normali. Il paziente
diabetico non ha più questa capacità e deve assumere l’insulina in
concomitanza dei pasti per controllare la glicemia. Tuttavia in molti
pazienti la regolazione non è facile e si può andare incontro a cali bruschi
di zucchero nel sangue che possono anche provocare uno stato di coma. Per
questi pazienti più gravi in certi casi l’unica soluzione diventa il
trapianto di isole di Langherans prelevate dal corpo di persone in stato di
morte cerebrale. Tuttavia le liste d’attesa per questi trapianti sono sempre
troppo lunghe e spesso il paziente non ha tempo di aspettare il suo turno.
Il trapianto da donatore vivo potrebbe
essere un’alternativa alla carenza di donazioni da cadavere. Le prospettive
sono buone: nella ragazza nipponica il trapianto ha trasformato radicalmente
la capacità del suo corpo di controllare il tasso di glucosio nel sangue. Ma
il traguardo raggiunto con questa operazione pionieristica va ben oltre la
possibilità di accorciare le liste d’attesa, ha fatto notare Shapiro: è
molto più sicuro prendere cellule produttrici di insulina da una persona in
vita e in buona salute che non usare quelle di un cadavere o di un individuo
in condizione di morte cerebrale. Queste infatti possono aver risentito
delle basse temperature con cui sono state conservate in attesa di un
paziente compatibile. Inoltre la loro salute può essere stata compromessa da
tossine messe in circolo nel sangue del donatore in coma irreversibile.
Il trapianto dalla mamma alla figlia non
ha comportato nessuno di questi rischi. Prima la donna, 56 anni e sana, è
stata sottoposta a intervento per asportarle una parte di pancreas. Poi da
questo tessuto i chirurghi hanno isolato le cellule produttrici di insulina.
Infine le hanno trapiantate alla figlia diabetica. è stato sorprendente
vedere come già a pochi minuti dal trapianto la ragazza ha cominciato a
produrre insulina, ha raccontato Shapiro entusiasta. Adesso sarà necessario
seguire per lungo tempo i progressi della ventisettenne e di altri pazienti
che potranno in seguito sottoporsi alla stessa operazione.
Tratto da:
Yahoo Salute
Ricerca a cura di
Carmelo
D’Alessio
Data
ultimo aggiornamento: Giovedì, 17 Febbraio 2005 6:30:00 |
Diabete addio
all'insulina
L'autorizzazione ricevuta dai ricercatori per clonare e creare embrioni da
cui estrarre, dopo 14 giorni, le mitiche staminali è rivolta prima di tutto
a fornire le conoscenze necessarie per curare il diabete. Una malattia,
spiega Stefano Del Prato, direttore della cattedra di diabetologia e docente
di endocrinologia dell'Università di Pisa, "che colpisce nel mondo 151
milioni di adulti con un aumento di più dell'11 per cento negli ultimi sei
anni".
Professor Del Prato, potrebbero servire, in futuro, le cellule staminali -
anche quelle prodotte attraverso la clonazione - per curare il diabete? Ma
non esistono già altre cure?
"Il diabete che sarà possibile curare è quello di tipo 1, che colpisce il
10% dei malati di diabete. Una malattia che distrugge tutte le cellule beta
che nel pancreas riforniscono di insulina il corpo e che porta spesso a
problemi gravi di salute, come l'insufficienza renale, danni alla vista (a
volte cecità), neuropatie, rischio elevato di morte per malattie
cardiovascolari. Lei mi chiede se ci sono cure. Si, certo, ce ne sono. C'è
l'iniezione di insulina, che può rallentare il decorso della malattia. Da
qualche anno esiste anche il trapianto di pancreas, che da' buoni risultati.
Più sperimentale e dai risultati più incerti il trapianto dell'intera isola
pancreatica, cioè dell'insieme di cellule che nella malattia sono attaccate
dal sistema immunitario. Il problema è che per 150 milioni di persone non ci
sono donatori sufficienti. Tra l'altro, per ora, si sono fatti solo pochi
trapianti da donatore vivente, la maggioranza dei trapianti è fatta
togliendo il pancreas a cadaveri. Occorre trovare delle alternative per
curare tutti".
Le cellule staminali sono allora un'alternativa per curare anche chi non può
arrivare al trapianto. Ma come?
"Il traguardo, la speranza per i pazienti e i medici, è che si arrivi a
capire come una cellula staminale totipotente possa trasformarsi in cellula
per l'insulina. Noi sappiamo che questo accade in ogni persona, ma ci sono
ignoti i meccanismi. Dobbiamo seguire la cellula passo per passo e capire
quali meccanismi la rendano trasformabile, differenziata, come si dice nel
linguaggio scientifico, fino a diventare una beta cellula, quella che
produce gli ormoni insulina. Lei deve immaginare un albero, con alla base
una cellula che man mano si differenzia in altre e prende forme e funzioni
diverse. Se riusciamo a capire come fa allora glielo possiamo far fare noi.
Certo. Possiamo spingere tante cellule staminali a trasformarsi nelle
cellule giuste, quelle che producono l'insulina nel pancreas. E le possiamo
iniettare nel paziente. A quel punto l'organismo riprende le sue funzioni".
Perché servono cellule staminali ricavate da embrioni?
"In teoria andrebbero bene anche quelle estratte da individui adulti, ma a
livello internazionale si è visto che quelle di origine embriogenetica, cioè
ricavate da embrioni, sono molto più promettenti".
ROMEO BASSOLI |
Primo trapianto cellule pancreas, con
protezione antirigetto
Primo
intervento al mondo eseguito in Italia
(ANSA) ROMA,
28 maggio 2004
E' stato eseguito in Italia il primo trapianto delle cellule
del pancreas produttrici di insulina senza la necessita' di cure
antirigetto. L'intervento, e' stato eseguito grazie alla collaborazione fra
il Policlinico 'Umberto I' di Roma e l'universita' di Perugia. Le
microfabbriche di insulina rivestite di una sostanza che le ha rese
invisibili al sistema immunitario permettera' al paziente di non sottoporsi
piu' alla terapia immunosoppressiva necessaria per evitare il rigetto.
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