Le ultime notizie sul Diabete.

Inibire l'autoimmunità senza immunosoppressione

Un nuovo nanovaccino si è dimostrato in grado di indurre la remissione del diabete di tipo 1 in un modello animale della patologia.

Oltre a fornire nuove e preziose informazioni sul diabete, la ricerca ha anche rivelato un aspetto della patogenesi della risposta autoimmunitaria che può fornire

una strategia terapeutica per molte patologie autoimmunitarie.

Il diabete di tipo 1 è una patologia immunitaria cronica frutto della distruzione delle cellule pancreatiche che producono insulina operata da specifiche cellule immunitarie, le cellule T.

"Sfortunatamente, l'eliminazione delle cellule T che aggrediscono il pancreas non può essere effettuata senza eliminare anche le cellule T che ci proteggono dalle infezioni e dai tumori” ha spiegato Pere Santamaria, del Julia McFarlane Diabetes Research Centre dell'Università di Calgary in Canada.

Santamaria e colleghi, che firmano un articolo sulla rivista Immunity, volevano trovare un modo per inibire la risposta autoimmune pericolosa per l'organismo;

nel corso della ricerca hanno scoperto che il nostro corpo ha un meccanismo in grado di arrestare la progressione della malattia.

"Essenzialmente esiste una lotta interna tra cellule T che tendono a causare la malattia e cellule T più deboli che tendono a inibirla”, ha commentato Santamaria.

I ricercatori hanno anche sviluppato un “vaccino” basato su una nanotecnologia che in modo selettivo rende più attive le cellule T deboli rendendole capaci di controbilanciare il danno causato dalle cellule T iperattive.

Il preparato consiste in nanoparticelle rivestite da frammenti di proteina rilevanti per il diabete di tipo 1, legati a molecole del MHC, le stesse che vengono utilizzate

da un altro tipo di globuli bianchi nel meccanismo di presentazione dell'antigene alle cellulle T nel processo di risposta immunitaria.

Utilizzando un modello murino del diabete di tipo 1, i ricercatori hanno scoperto che il nanovaccino era in grado di attenuare la progressione della malattia nei

topi prediabetici e di ristabilire il normale livello di glicemia nel sangue degli animali.

"Se il paradigma su cui si basa il nanovaccino è corretto anche per altre patologie autoimmuni, come la sclerosi multipla, l'artrite reumatoide e altre, la sua

applicazione potrebbe diffondersi”, ha concluso Santamaria. "In linea di principio, i nanovaccini potrebbero essere ingegnerizzati con uno qualunque dei

complessi MHC significativi per l'insorgenza della patologia”. (fc)

Influenza “suina” A

Influenza “suina” A (H1N1): Le raccomandazioni AMD-SID-SIED

 

 

 

Venerdì 25 Settembre 2009 16:42

Raccomandazioni alle persone con diabete mellito

Informazioni generali
Questa forma influenzale, in base alle informazioni attuali, non sarà né più diffusa né più grave ri­spetto a quelle del passato.

Vi è un alto rischio di contagio tra persone, ma una bassa pericolosità (le complicanze e la mortalità stimata non sono superiori alle forme influenzali del passato).

Come per l’influenza “normale”, le persone  con diabete non hanno più facilità ad ammalarsi, ma in caso di malattia devono seguire le regole raccomandate ai soggetti con diabete in corso di malattia febbrile:

  • contattare il medico,

  • controllare più frequentemente la glicemia e, se necessario, aggiungere insulina o aumen­tarne il dosaggio

  • bere a sufficienza per evitare la disidratazione

  • prendere, se necessario,  farmaci per febbre, mal di testa,  vomito.

Che cosa fare per ridurre il rischio di contagio:

  • coprire con un fazzoletto naso e bocca quando si starnutisce

  • lavare frequentemente le mani con acqua e sapone, soprattutto dopo aver tossito o starnutito o aver frequentato luoghi e mezzi di trasporto pubblici

  • evitare di toccare occhi, naso, bocca con le mani non pulite

Quali sono i sintomi?

  • febbre, tosse, dolori ai muscoli e alle articolazioni, mal di testa

Che cosa fare:

  • rimanere a casa se ammalati

  • contattare il medico in caso di sintomi

 Che cosa non fare:

  • non  utilizzare mascherine per la prevenzione

  • non assumere antibiotici, vitaminici o  farmaci anti-virali come preventivi

  • non sospendere l’ insulina in caso di inappetenza

Vaccinazione:

  • come per le altre  forme di influenza, la vaccinazione è consigliata alle persone con diabete

  • non interferisce con l’azione dei farmaci antidiabetici orali o dell’insulina

  • la normale vaccinazione anti-influenzale stagionale non offre protezione per l’influenza “suina”

  • utilizzare la vaccinazione specifica per virus suino A (H1N1)

Farmaci antivirali (Relenza e Tamiflu)

  • possono essere impiegati nelle persone con diabete ma, come nelle persone senza diabete, hanno modesti benefici

  • non servono per evitare il contagio

Associazione Medici Diabetologi


 Staminali: promessa contro diabete
 Ignazio Marino: da embrionali risultati su topi

(ANSA) - ROMA, 2 APR - Le cellule staminali sono piu' che una promessa contro il diabete: i primi pazienti trattati con le adulte sono liberi dai farmaci.Quelli trattati invece ''con le staminali embrionali si sono ottenuti risultati straordinari nei topi''. Lo ha detto oggi a Roma il sen. Ignazio Marino, nel forum Changing Diabetes Barometer. ''Le staminali embrionali sono un punto che dobbiamo tener presente'', ha rilevato Marino riferendosi ai primi risultati incoraggianti ottenuti negli Stati Uniti.

Diabete 1, accusato un batterio

Potrebbe essere un batterio a scatenare il diabete di tipo 1, insulinodipendente, tipico dell'età giovanile.
L'imputato è il Map, Mycobacterium avium paratuberculosis, "parente" dei batteri che causano la lebbra e la Tbc e che spesso infetta i bovini entrando così nella nostra catena alimentare.
È quanto emerge da una ricerca condotta da Leonardo Sechi, docente di microbiologia dell'Università di Sassari, pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Plos One. Secondo i dati raccolti dalla ricerca, in Sardegna il 70% dei casi di diabete I è correlato al Map.
"Diversi studi", ricorda Sechi, "hanno già dimostrato che nei soggetti geneticamente predisposti il Map è in molti casi responsabile del morbo di Crohn e della sindrome dell'intestino irritabile. Oggi sappiamo che in queste persone il Map può indurre anche lo sviluppo del diabete di tipo I". Non solo: secondo i ricercatori di Sassari nei diabetici in cui è assente il Map tra le cause ci potrebbero essere altri microrganismi patogeni.
Dai primi dati elaborati, è emerso che il 70% dei sardi con diabete di tipo I ha il batterio e che le loro alterazioni genetiche sono comuni a quelle dei soggetti affetti dal morbo di Crohn. Una percentuale comparabile è stata, inoltre, riscontrata anche in Inghilterra dal St. Georges Hospital Medical School University, partner nello studio. "Il diabete", continua Sechi, "ha un'origine per il 50% genetica e per il 50% ambientale. Nella nostra regione, vista la l'elevata presenza di animali da allevamento infetti, il maggior responsabile è il Map".
Il batterio ha una lunghissima incubazione e, se presente in alte concentrazioni nel latte, è in grado di resistere alla pastorizzazione e può quindi essere trasmesso all'uomo attraverso i formaggi freschi e talvolta addirittura il latte. "Anche se i campioni di latte pastorizzato sardi studiati non presentavano tracce di Map vivo", sottolinea Sechi, "la prevenzione deve essere massima in tutte quelle regioni in cui si verifica una epidemia del batterio".
Tenere sotto controllo il Map nell'allevamento, concludono gli esperti, potrebbe infatti aiutare a ridurre l'incidenza del diabete I nel futuro.      Da Repubblica.it Supplemento Salute  5 febbraio 2009

 

   Quando la ricerca non conviene 

 

"Negli ultimi due mesi due grandi case farmaceutiche hanno deciso di non finanziare più alcune importanti ricerche per ragioni strategiche, di marketing.

Insomma meglio curare che guarire."
L'atto di accusa è del prof. Camillo Ricordi e avviene durante il congresso mondiale di diabetologia, l'European Association for the Study of Diabetes,

appuntamento annuale che si è svolto quest'anno a Roma.
Il professor Camillo Ricordi dirige il prestigioso Diabetes Research Institute, il centro ricerche sul diabete e il centro trapianti cellulari dell'Università di Miami.
Si è laureato all'Università di Milano ma è ormai da anni uno dei più brillanti cervelli italiani impegnati all'estero.
In sostanza denuncia il prof. Ricordi da parte delle case farmaceutiche non vi è un interesse a trovare una cura definitiva per le malattie.

La ricerca quindi è finalizzata principalmente a migliorare le cure dei malati che sono il vero business.
I test sulle staminali potrebbero trovare la via per vincere la malattia per sempre.
L'obiettivo è arrivare a trapianti di cellule produttrici di insulina o di isole pancreatiche per curare il diabete in modo definitivo.


Guarda l'intervista al Prof. Ricordi

 

Ma il grido d'allarme del professor Ricordi non è isolato, come l'INCHIESTA di Rainews24 ha avuto modo di riscontrare nell'ambito del trentesimo congresso della Società spagnola di farmacologia.
Una risposta Rainews24 l'ha chiesta anche all'European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations, EFPIA, che rappresenta 43 associazioni di industrie farmaceutiche e 32 delle principali compagnie farmaceutiche presenti in Europa.
Nel quadro europeo la situazione italiana è ancora più complicata.
Il prof. Pier Luigi Luisi dopo aver insegnato per trent'anni allo Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo (lo stesso dove studiò Einstein), dal 2002 insegna e prosegue le sue ricerche all'Università di Roma 3.

Un miracolo al quadrato il suo vista la difficoltà nel reperire i fondi in Italia.
Enzimi, acidi e alcune proteine. E' la ricetta per generare la vita che persegue il prof. Luisi. Si tratta di bollicine di appena una manciata di nanométri create in laboratorio. Lo scopo è dare vita alla prima cellula artificiale assemblando come una scatola del meccano pezzettini presi in prestito dalla natura.

L'INCHIESTA di Rainews24 si chiude con la speranza che tra 2 o al massimo 4 anni l'equipe del prof. Luisi riesca ad avere una sorta di "vivente minimo" con lo scopo di disporre di batteri su misura per nuovi farmaci.

di Flaviano Masella

Sconfiggere il diabete: la sfida del San Raffaele

L'Onu l'ha definito una "emergenza sanitaria planetaria": il diabete, che nel 2000 colpiva 170 milioni di persone, è in crescita continua.

Le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità sono chiare: nel 2030 a soffrirne nel mondo saranno oltre 360 milioni.

Trovare le cause della malattia - che obbliga a uno stile di vita rigido e porta il rischio di gravi complicanze croniche - è una delle grandi sfide della medicina.

Ora l'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, con il patrocinio del Segretariato sociale della Rai, lancia una campagna per combattere la patologia e creare

un centro di eccellenza internazionale per la prevenzione e la cura del diabete di tipo 1, che sta aumentando in particolare fra bambini e adolescenti.

Il San Raffaele Diabetes Research Institute avrà uno staff di 50 fra medici, ricercatori e personale di supporto e laboratori di ricerca su un'area di 500 metri

quadrati all'interno del nuovo dipartimento di medicina molecolare (Dibit2). E farà parte della DRI Federation, una federazione internazionale che raccoglie

i diversi DRI nel mondo.

Per avviare i progetti di ricerca del San Raffaele DRI sono necessari otto milioni di euro e tutti possono dare una mano: fino all'8 luglio i clienti Tim, Vodafone

e Wind potranno donare due euro mandando un sms al 48545 o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom.
Per un anno, invece, si potrà contribuire con bollettino postale intestato a Fondazione Areté Onlus San Raffaele sul conto BANCOPOSTAIMPRESA n° 42437681.

O con un bonifico bancario intestato a Fondazione Areté Onlus San Raffaele Banca Intesa 2013 Codice IBAN IT62 C030 6901 7650 0002 1600 183.

Ma anche online con carta di credito, collegandosi al sito del San Raffaele oppure sul sito della campagna "Liberiamo i condannati dal diabete".

Perché il diabete avanza a ritmi preoccupanti: la maggior parte di chi ne è colpito si ammala del tipo 2, che colpisce soprattutto adulti e anziani, è associato a

obesità e sovrappeso e richiede uno stile di vita corretto, farmaci e più raramente l'insulina.

Ma solo in Italia ogni giorno vengono diagnosticati quattro nuovi casi di diabete di tipo 1,

quello che prende soprattutto i più piccoli: può apparire in maniera improvvisa dopo un'incubazione anche di anni e chi ne soffre deve fare i conti

quotidianamente con una serie di limitazioni che condizionano la vita. La glicemia dev'essere continuamente controllata e più volte al giorno va assunta insulina.

La malattia dura tutta la vita e se non si tiene sotto controllo si rischiano conseguenze serie e croniche al cuore, vasi sanguigni, sistema nervoso, occhi e reni.

Nei prossimi anni il centro San Raffaele DRI lavorerà sulla prevenzione del diabete di tipo 1 e sul trapianto di isole pancreatiche.
Si studieranno anche nuovi test per individuare nel sangue i marcatori specifici della predisposizione alla malattia e ci si concentrerà sulla ricerca dei suoi

meccanismi e delle sue cause, oggi ancora sconosciute.
E a breve partirà un protocollo di sperimentazione basato sulla somministrazione orale di insulina utilizzata come una sorta vaccino contro la malattia.

da Repubblica.it - 26 giugno 2008

 

Un gruppo di scienziati americani e' riuscito a liberare dei topi malati di diabete dagli effetti della malattia usando un cocktail di quattro farmaci. I topi, che avevano il diabete di tipo 1 o giovanile, hanno cominciato a produrre da soli l'insulina dopo aver preso il mix di medicinali. In passato lo stesso team della Harvard University era riuscito solo a fermare la distruzione delle cellule produttrici di insulina, non a rigenerarle. Oggi, come si legge sul New Scientist, unendo un altro farmaco al cocktail precedentemente sperimentato, sono riusciti anche in questo compito e sperano di poter presto cominciare i trial sull'uomo. L'ingrediente extra che ha permesso ai topi di tornare a produrre da se' l'insulina e' un enzima chiamato alfa 1 anti-tripsina, che ha avuto come effetto un aumento significativo di cellule beta e, sembra, anche una diminuzione dell'infiammazione del pancreas. (AGI)

Portale Diabete

Tecnica operatoria sperimentata alle Molinette                           www.portalediabete.org

Grazie a una tecnica operatoria sperimentata per la prima volta in Italia, i nefrologi dell'ospedale Molinette hanno regalato ieri una speranza di vita a un diabetico di 66 anni già stato sottoposto nel 2003 un trapianto di rene. Le sue condizioni erano peggiorate al punto da richiedere un nuovo intervento, ma da rendere inutile e troppo rischioso un altro trapianto. All'uomo, che vive a Villanova Mondovì, affetto da diabete giovanile, sono state così impiantate le cellule produttrici di insulina prelevate dai pancreas sani di due donatori, un novarese di 29 anni morto in un incidente stradale e un alessandrino di 58 stroncato da emorragia cerebrale.
Per portare a termine l'intervento è stata necessaria una piccola maratona tra laboratorio e camere operatorie. Un chirurgo del centro trapianti del professor Mauro Salizzoni, Aldo Giacardi, ha espiantato gli organi dei donatori, quindi i nefrologi Luigi Biancone e Vincenzo Cantaluppi hanno prelevato e isolato, dall'agglomerato di tutte le cellule prelevate, quelle produttrici di insulina da iniettare, separandole dagli enzimi destinati esclusivamente alla funzione digestiva. E dopo dodici ore di laboratorio, con una tecnica mini-invasiva mai utilizzata prima nel nostro Paese, il radiologo interventista Dorico Righi ha iniettato le cellule nella giugulare del paziente, in anestesia locale, anziché ricorrere alla «vecchia» e più complessa tecnica dell'impianto diretto nel fegato.
E' una speranza in più per tutti diabetici che - per condizioni cliniche generali o età avanzata - non possono essere sottoposti a un trapianto (o a un nuovo trapianto) d'organo.
«Uno dei limiti del trapianto di rene nei pazienti diabetici - spiega il professor Biancone, responsabile del laboratorio che fa parte del reparto di Nefrologia diretto dal professor Giuseppe Segoloni - è che la carenza di insulina non solo aggrava le condizioni del malato, ma rischia anche di compromettere l'efficienza del nuovo organo. Il ricorso alle cellule è quindi un'arma preziosa perché ha, in più, un effetto protettivo proprio sui reni».
Il laboratorio di trapianto di insule pancreatiche delle Molinette ha iniziato la propria attività di isolamento di cellule produttrici di insulina nel 2004, grazie a un finanziamento della Compagnia di San Paolo e al contributo di idee del professor Camillo Ricordi, del Diabetes Research Institute di Miami, uno dei massimi esperti del settore. La scelta di impiantare le cellule nel fegato, anziché nel pancreas del malato, è legata alla facilità di attecchimento e vascolarizzazione. Nel fegato, le cellule dell'insulina, aiutano la regolazione del metabolismo del paziente, mentre il pancreas, non espiantato, continua a produrre gli enzimi della digestione.

da La Stampa.it

Un monitor glicemico in funzione 24 ore su 24

Con la commercializzazione del Guardian RT – a brevissimo disponibile anche in Italia - non sembra più così lontana la realizzazione del primo ‘Pancreas Artificiale’: un sistema intelligente che permette un eccellente controllo dei livelli di glicemia delle persone con diabete insulino-dipendente in maniera totalmente autonoma.

Medtronic annuncia la novità, primo passo verso la rivoluzione terapeutica largamente attesa da pazienti e medici, nei giorni del Congresso annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete, in corso ad Atene. Il sistema Guardian RT visualizza letture dei livelli di glucosio ogni cinque minuti, ed allerta i pazienti quando i livelli diventano troppo alti o troppo bassi.
Vedendo gli indici del glucosio e sentendo gli allarmi sonori, i pazienti possono intervenire subito per ridurre la severità e la durata delle fluttuazioni del glucosio che portano a complicazioni acute, come il coma da iper o ipoglicemia, o a complicazioni croniche che con il tempo possono compromettere le funzioni di molti organi vitali come cuore, rene e sistema nervoso.

Il sistema Guardian RT (Real Time) fa uso di un sensore sottocutaneo del glucosio capace di registrare ben 288 letture quotidiane, fornendo ai pazienti fino a 100 volte in più le informazioni che possono ottenere dalle letture con normali glucometri (tramite gocce di sangue “provocate” con pungidito).

“La possibilità di leggere in tempo reale la propria glicemia mediante uno strumento tascabile simile ad un telefonino rappresenta un avanzamento di portata storica per i pazienti in trattamento insulinico, che grazie a questo sistema acquisiscono la possibilità di tenere sotto controllo la propria condizione 24 ore su 24”

spiega il Professor Emanuele Bosi, Direttore del Centro Diabetologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che continua:

"I pazienti che usano il Guardian RT hanno a disposizione molte più informazioni, sono quindi capaci di prendere decisioni più accurate. Gli allarmi acustici sono estremamente importanti perché forniscono ai pazienti una maggior garanzia, specialmente di notte, un momento difficile per chi è a rischio di una ipoglicemia.”

Come funziona il sistema:
Il sensore continuo del glucosio è un elettrodo molto piccolo che è inserito sotto cute per mezzo di un insertore (Sen-Serter®), un piccolo dispositivo che rende l’inserzione del sensore più facile. Il sensore che misura il glucosio deve venir sostituito ogni tre giorni. Le misurazioni del glucosio ottenute dal sensore vengono trasmesse via radio ogni cinque minuti da un trasmettitore al monitor del Guardian RT, che visualizza i valori della glicemia. Le soglie che fanno scattare l'allarme possono essere prestabilite ed il sistema viene calibrato due volte al giorno (ogni 12 ore). I pazienti possono prendere immediate decisioni su alimentazione, esercizio fisico, terapia insulinica sulla base della necessità del momento. Le decisioni di carattere terapeutico devono essere confermate da un valore glicemico ottenuto con un normale glucometro.

Dati e numeri sul Diabete, nel mondo e in Italia:
o Secondo le stime sono almeno 194 milioni le persone nel Mondo colpite da diabete, un numero superiore alla somma complessiva delle popolazioni di Argentina, Australia, Sud Africa, Arabia Saudita e Spagna.
o Oltre 5 milioni di persone nel mondo sono affette da diabete di tipo 1 (la forma più severa della malattia), 395.000 delle quali sono bambini.
o In Italia, il tipo 1 colpisce circa 120.000 dei 3,1 milioni di individui che soffrono di diabete.
 

Da: www.portalediabete.org

Primo trapianto di insule da donatore vivente
Il trapianto di pancreas, o meglio, il trapianto di insule è una delle opzioni terapeutiche per il diabete tipo-1 instabile. Come tutta la medicina dei trapianti presenta alcuni problemi tra cui, ovviamente, la sproporzione tra la richiesta e la disponibilità di organi. La possibilità di utilizzare un donatore vivente, analogamente a quanto accade per i reni e, da alcuni ani, per il fegato, è stata finora ostacolata dalla difficoltà di prelevare parte del pancreas senza danneggiare il donatore. Recentemente in Giappone è stato effettuato il primo trapianto di insule da donatore vivente. Una donna di 56 anni ha donato metà del proprio pancreas da cui sono state estratte circa 400.000 insule poi trapiantate nella figlia di 27 anni.

E' possibile che nei prossimi anni la donazione di insule diventi una pratica analoga alla donazione di un rene.

Cellule staminali umane stimolano la produzione di insulina in topi diabetici   24 Novembre 2006
Un trapianto di cellule staminali umane in topi diabetici avrebbe indotto le cellule beta di topi diabetici a produrre insulina, come riferiscono nel loro studio i ricercatori nell’ultima pubblicazione della rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Nello studio si ipotizza che potenti infusioni di cellule possano correggere i disordini metabolici e guarire i danni futuri causati ai pazienti diabetici. Prima del trapianto, i topi presentavano gravi iperglicemie e le cellule B e T avevano perso la loro funzionalità. Dopo 32 giorni, nei topi trattati, si è osservato un miglioramento delle glicemie, e un incremento di isole pancreatiche e cellule beta. Nel pancreas dei topi, le cellule umane hanno permesso la rigenerazione delle cellule che producono insulina. Nel rene, le cellule umane potrebbero riparare i danni causati dal diabete.

Tratto da Reuters Health - Fonte: Proc Natl Acad Sci. Novembre 2006 - Traduzione e adattamento a cura di Ginette Marra

Primo caso al mondo di trapianto di cellule pancreatiche in laparoscopia al Policlinico Umberto I di Roma
 

Tratto da Ufficio Stampa e Comunicazione Azienda Policlinico Umberto I, 27 Ottobre 2006
 

Ieri, presso la II Clinica Chirurgica del Policlinico Umberto I di Roma, è stato eseguito il primo caso al mondo di trapianto di insule pancreatiche incapsulate con la tecnica della laparoscopia in addome.

La metodica dell’incapsulamento delle insule pancreatiche consente di eseguire il trapianto senza usare quei farmaci immunosoppressivi che vengono somministrati per evitare il rigetto.

Le insule pancreatiche provenienti dal laboratorio dell’Università dell’Illinois di Chicago sono state incapsulate presso il laboratorio dell’Università di Perugia e successivamente trapiantate a Roma. Il trapianto è stato eseguito su un paziente di 44 anni della provincia di Roma affetto da diabete di tipo I dall’età di 10 anni.

Il team chirurgico è composto dal prof. Pasquale Berloco e dal prof. Massimo Rossi, del Centro Trapianti del Policlinico Umberto I e dal Gruppo Diabetologico dell’Università di Perugia coordinato dal prof. Riccardo Calafiore.

Ufficio Stampa e Comunicazione
Azienda Policlinico Umberto I
ufficiostampa@policlinicoumberto1.it

Nota della redazione di Progetto Diabete: In realtà non si tratta del primo caso al mondo... sono più di 10 anni che si tenta di perseguire questa strada e, dalla notizia così come riportata, non emergono elementi di novità rispetto ai tentativi fatti in passato. Se avrà successo potrebbe essere il primo caso che funziona, questa sarebbe la vera notizia...

    4 luglio 2006   "Stato dell'arte del trapianto di isole pancreatiche"

RIASSUNTO Il trapianto di isole rappresenta un'attraente opzione terapeutica per un selezionato numero di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1. Il trapianto, che consiste nella infusione di isole nella vena porta tramite puntura transepatica percutanea in anestesia locale, è una procedura semplice, ripetibile, gravata da poche complicanze. Con gli ultimi protocolli di immunosoppressione si è in grado oggi di ottenere la insulino-indipendenza nella maggior parte dei pazienti con un miglioramento complessivo della omeostasi glucidica che persiste anche quando il trapianto comincia a perdere parte della sua funzione. I più importanti problemi ancora da risolvere sono la limitata durata nel tempo e la necessità della terapia immunosoppressiva con tutti i rischi che essa comporta. Gli studi in corso sono finalizzati a prolungare la funzione del trapianto nel tempo e ad ottenere la tolleranza immunologica che permetta di sospendere la terapia immunosoppressiva.

Parole chiave Trapianto di isole, immunosoppressione, diabete mellito di tipo 1, complicanze diabetiche.

Il trattamento del diabete mellito di tipo 1 basato su iniezioni ripetute quotidiane di insulina è molto impegnativo e spesso non ben accettato dai pazienti. Inoltre in alcuni casi è inefficace per un adeguato controllo dei valori glicemici così che nel tempo si presentano alcune complicanze micro-macro angiopatiche, spesso gravemente invalidanti.

La possibilità pertanto di ripristinare la fisiologica secrezione insulinica nei riceventi rappresenta il traguardo ultimo della terapia del diabete di tipo 1. Tra le strategie proposte per il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo il trapianto di isole si presenta come un'attraente opportunità per la sua semplicità e per la possibilità di ripeterlo nello stesso ricevente. Il trapianto di isole consiste in una infusione di isole pancreatiche nel letto portale, in anestesia locale, per via transepatica percutanea e rappresenta l'ultima fase di una procedura che ha inizio con l'isolamento e la purificazione delle isole pancreatiche dalla componente esocrina e termina con la loro caratterizzazione in vitro (1) . Il trapianto viene eseguito solo se il tessuto isolato risponde ai requisiti di sterilità, di vitalità e purezza. Il numero di isole riconosciuto sufficiente per il ripristino della normoglicemia nel paziente è nel range di 6000-10000 isole per kg di peso corporeo del ricevente, numero che talvolta viene raggiunto con isole provenienti da due pancreas diversi.

I primi trapianti di isole sono stati eseguiti in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 già in terapia con immunosoppressori per un precedente trapianto d'organo. Questi sono stati a lungo caratterizzati da una bassa percentuale di successo, espresso sia in termini di insulino-indipendenza, sia in termini di ripristino di secrezione di C-peptide.

I risultati clinici sono progressivamente migliorati soprattutto dopo la introduzione di un nuovo schema di immunosoppressione che evita l'uso di steroidi e ciclosporina (due farmaci ritenuti diabetogeni) e che si basa sull'associazione di tacrolimus e sirolimus a basse dosi, insieme con un iniziale trattamento di due mesi con anticorpi anti-recettore dell'interleuchina 2 (2) . La prognosi del trapianto di isole è oggi drasticamente migliorata, con percentuali di successo, ovvero di pazienti trapiantati che raggiungono la insulino-indipendenza, prossime al 90% (3) . Gli effetti del trapianto di isole vanno al di là della semplice insulino-indipendenza. Anche in caso di funzione parziale del trapianto i pazienti riferiscono un netto miglioramento della loro qualità di vita e del compenso glicometabolico (riduzione della emoglobina glicata, della insulino-resistenza e della produzione epatica di glucosio), del loro metabolismo proteico e un rallentamento della progressione delle complicanze diabetiche (4) . I successi ottenuti con questi farmaci sono stati tali da rendere possibile l'allargamento della indicazione al trapianto anche a quei pazienti diabetici, non in terapia immunosoppressiva per un precedente trapianto di organo, ma con un diabete mellito di tipo 1 instabile, cioè con un'accentuata instabilità metabolica, con frequenti episodi di ipoglicemia alternata a chetoacidosi, oppure con complicanze diabetiche rapidamente progressive nonostante un controllo metabolico al meglio delle terapie convenzionali.

I problemi ancora aperti nel trapianto di isole sono quelli relativi alla durata della funzione delle isole trapiantate (anche se la ripetizione del trapianto in caso di esaurimento della prima infusione potrebbe prolungare il periodo di insulino-indipendenza dei riceventi) e relativi agli effetti a lungo termine della terapia immunosoppressiva. Alcuni dati presenti in letteratura indicano un aumento del rischio di neoplasia nei pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva per un trapianto d'organo. Con gli attuali schemi terapeutici usati nel trapianto di isole questa possibilità sembra essere remota, perché il sirolimus, utilizzato oggi come immunosoppressore, sembra addirittura avere un'attività antiproliferativa. Tuttavia, solo un prolungato follow-up dei riceventi potrà dissipare i dubbi su un eventuale effetto neoplastico di questi nuovi schemi terapeutici. Altri frequenti effetti secondari all'uso dei nuovi farmaci immunosoppressori sono un peggioramento della funzionalità renale in pazienti con iniziale nefropatia diabetica, alterazioni transitorie della crasi ematica, dislipidemia, ulcere mucose (5) .

Ad oggi la durata del trapianto è limitata. Il periodo di insulino-indipendenza dura in media 15 mesi a cui segue una fase di funzione parziale nei pazienti che mantengono una riduzione del loro fabbisogno insulinico rispetto ai valori pre-trapianto, con concentrazioni sieriche di c-peptide > 0,5 ng/ml, con un compenso glicemico globale stabile e ben controllato (5) . Tra le ipotesi che spiegano la progressiva diminuzione della funzione del trapianto si ricorda l'esaurimento funzionale delle isole conseguente a fenomeni di glucotossicità, il rigetto cronico, la riaccensione dell'autoimmunità, la tossicità farmacologica degli immunosoppressori sulle beta-cellule, il mancato rimodellamento delle beta-cellule che non vengono sostituite una volta andate in corso a fenomeni di necrosi o di apoptosi.

Le prospettive di sviluppo del trapianto di isole promettono grandi cambiamenti nei prossimi anni. Un primo settore di studio è rappresentato dalla identificazione di nuove strategie farmacologiche per migliorare l'attecchimento delle isole e ridurre quindi il numero di isole necessarie ad ottenere l'insulino-indipendenza. Tra i farmaci proposti, i più promettenti sono quelli con proprietà anti-infiammatorie e quelli che inibiscono la cascata coagulativa, fenomeni responsabili di una drastica riduzione della vitalità della massa beta-cellulare trapiantata (6) . Sono poi stati proposti protocolli di trattamento per ridurre la tossicità dei farmaci immunosoppressori gravati da minori effetti collaterali e con altre per le quali è prevista la sospensione dopo un certo periodo di trattamento al fine di verificare l'avvenuta tolleranza verso il tessuto allo genico (7) . Infine una menzione particolare spetta alla possibilità di integrare il programma di trapianto di isole con quello della terapia con cellule staminali. Il pancreas endocrino sembra essere soggetto all'interno del corpo umano ad una sorta di rimodellamento continuo in risposta alle diverse esigenze metaboliche dell'individuo: in presenza di un aumento del fabbisogno metabolico (obesità, gravidanza) si ha un incremento dei fenomeno di neogenesi di beta-cellule e invece in caso di digiuno prolungato e dimagrimento si ha riduzione della massa beta-cellulare tramite l'innesco di fenomeni apoptotici. La possibilità di conoscere e quindi di controllare i processi che portano alla neogenesi delle beta-cellule dovrebbe permettere di ottenere in laboratorio una massa beta-cellulare sufficiente a trapiantare molti pazienti o addirittura a prolungare la funzione del trapianto nel tempo. È stato infatti dimostrato che la contaminazione dei preparato di isole umane con cellule duttali (ritenuti da alcuni i precursori delle beta cellule) sia correlata con la funzione a lungo termine delle isole stesse una volte trapiantate (8) . L'elevato numero di lavori usciti nel campo della neo-genesi beta cellulare, utilizzando tra l'altro approcci e modelli di studio differenti, rafforzano in qualche modo la validità dell'idea di base e fanno sperare in una rapida evoluzione di questi studi verso l'applicazione in campo clinico.

 In conclusione i risultati clinici ottenuti permettono di considerare oggi il trapianto di isole come una reale opzione terapeutica in un sottogruppo selezionato di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1.
Le attuali ricerche integrate tra loro nel campo immunologico, metabolico, bio-ingegneristico e bio-molecolare sono di buon auspicio per la risoluzione dei problemi che ancora ne limitano l'applicazione in larga scala.

di Federico Bertuzzi 1 e Camillo Ricordi 2
1 Istituto Scientifico San Raffaele, Milano, Italia
2 Diabetes Research Institute, University of Miami School of Medicine, Miami, USA

IL PUNTO SU
Stato dell'arte del trapianto di insule pancreatiche
Federico Bertuzzi, Camillo Ricordi

Copyright Trapianti 2006; X: 71-74

4 luglio 2006

                                                            1° Congresso Nazionale Progetto Diabete – Genova 5-6 maggio 2006

 Diabete e Tecnologia

 IL TRAPIANTO DI ISOLE PANCREATICHE E DI CELLULE STAMINALI: STATO DELL'ARTE

"Federico Bertuzzi"     Istituto Scientifico San Raffaele – Milano

Il trapianto di isole è stato proposto come procedura in grado di ripristinare una fisiologica e stabile funzione

endocrino-pancreatica in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1.

Consiste nell’infusione di isole pancreatiche in anestesia locale, per via transepatica percutanea, in pazienti affetti

da diabete mellito di tipo 1. Era già stato ampiamente dimostrato che l’infusione intraepatica di isole isolatefosse in

grado di ripristinare la normoglicemia in pazienti diabetici uremici già sottoposti a trapianto di rene.

I risultati clinici sono progressivamente migliorati con l’affinamento delle procedure di isolamento e con

l’introduzione di una nuova terapia immunosoppressiva con anticorpi anti recettore per la interluchina 2 nella fase

di induzione, sirolimus e tacrolimus a basse dosi per il trattamento a lungo termine.

I successi ottenuti con questi farmaci sono stati tali da rendere possibile l’allargamento dell’indicazione al trapianto

anche a quei pazienti diabetici, non in terapia immunosoppressiva per un precedente trapianto di organo, ma con un

diabete mellito di tipo 1 instabile, cioè con una accentuata instabilità metabolica, con frequenti episodi di ipoglicemia

alternata a chetoacidosi, oppure con complicanze diabetiche rapidamente progressive nonostante un controllo

metabolico al meglio delle terapie convenzionali. I dati pubblicati e le recenti comunicazioni scientifiche ai congressi

riportano ormai percentuali di insulino indipendenza prossime a quelle ottenute con il trapianto di solo pancreas,

che tuttavia perdono la funzione progressivamente nel tempo.

Analogamente a quanto osservato con il trapianto di pancreas, il trapianto di isole è in grado di esercitare una

prevenzione sulle complicanze croniche del diabete, essendo in grado di migliorare il metabolismo glucidico e proteico

anche nei casi di funzione parziale. Tra i problemi ancora presenti ricordiamo l’attecchimento delle isole nel sito

di trapianto, il loro esaurimento funzionale, la riattivazione della risposta

autoimmune, il rigetto. Le nuove conoscenze sui meccanismi che regolano la differenziazione beta cellulare

permettono di ipotizzare per i prossimi anni l’avvento di strategie di trapianto combinato di isole pancreatiche

e di precursori beta cellulari. Il pancreas infatti è considerato un organo soggetto a un continuo processo di

rimodellamento tale da permettergli di adattarsi alle variabili condizioni metaboliche che si presentano nel corso

della vita di un individuo. A tal proposito alcuni studi hanno identificato alcune cellule che sottoposte a determinati

stimoli possono differenziare in beta cellule.

Tra queste le cellule duttali appaiono essere le candidate più convincenti anche se alcuni ricercatori hanno suggerito

che le beta cellule derivino da cellule staminali mesenchimali.

Nei prossimi anni si attendono importanti novità in questo settore.

  Staminali: dal 2007 "officina" ripara tessuti

ROMA, 27 APRILE - Sara' come una grande officina dove con le cellule staminali del cordone ombelicale e dei tessuti adulti si proveranno a curare molte malattie oggi ancora in attesa di terapie risolutive, a riparare organi e tessuti, inoltre dove le staminali saranno studiate per capire i processi che le fanno ammalare causando il cancro.

E' il ''Laboratorio Interdisciplinare sulle Cellule Staminali e le Terapie Cellulari'' che aprira' i battenti entro giugno 2007 al secondo piano del Policlinico Gemelli di Roma, come annunciato oggi in un incontro con la stampa per presentare la campagna per il cinque per mille all'universita' cattolica promossa da Fipe-Confcommercio.

La struttura, che aprira' quando saranno ultimati i lavori di ristrutturazione di vecchi laboratori gia' esistenti, ha richiesto un investimento di sei milioni di euro, ha affermato il Direttore amministrativo dell'Universita' Antonio Cicchetti.
Il 'maxi-laboratorio' e' il frutto della volonta' di compattare tutte le forze universitarie che lavorano su staminali, oggi dislocate nei vari dipartimenti dell'ateneo, in un unico centro dove i diversi gruppi di ricerca attivi in questo campo potranno lavorare insieme e in prospettiva collaborare anche con altri centri di ricerca italiani e stranieri, ha spiegato il Preside della facolta' di Medicina e Chirurgia Paolo Magistrelli.
''Con la nascita di questo laboratorio - ha osservato Magistrelli - l'Universita' Cattolica porta le staminali in testa alle sue priorita' nell'elenco della ricerca, cosa che e' il segno di una svolta nel modo di trovare soluzione a diversi problemi medici''.

Tantissimi gli obiettivi che si prefissa di raggiungere l'ateneo con la messa in attivita' di questa struttura che sara' provvista della piu' moderna strumentazione e di una camera bianca necessaria a compiere molte delle manipolazioni che servono allo studio e alla coltivazione delle staminali, ha proseguito Magistrelli.

Un obiettivo che sta a cuore al Preside della facolta' di Medicina riguarda la possibilita' di curare il

diabete insulino-dipendente (o giovanile) ricostruendo le cellule produttrici di insulina (cellule beta)

con staminali adulte o da cordone.
''Anche se e' difficile prevedere i tempi per arrivare ad applicazioni cliniche dell'uso delle staminali nel diabete - ha osservato Magistrelli - il filone di ricerca e' molto promettente perche' ci sono sperimentazioni in corso che dimostrano come sia le staminali del cordone ombelicale, sia quelle adulte pancreatiche possono trasformarsi e rigenerare la parte di pancreas mancante nel diabete''.

Ma il diabete e' solo uno dei settori di punta che sara' portato avanti nel 'super-laboratorio', al suo interno infatti partiranno molteplici filoni di ricerca per l'uso di staminali per riparare danni epatici, muscolari, ossei, del muscolo cardiaco, del sistema nervoso per curare malattie in utero prima ancora della nascita del bimbo, per capire come sconfiggere i tumori, ha aggiunto Magistrelli.
Si e' compreso ormai il valore delle staminali che si raccolgono nel sangue del cordone ombelicale, per la cui conservazione il Gemelli dispone di una banca; in questo laboratorio strumenti e potenzialita' verranno messe in comune per giungere al piu' presto a risultati applicativi della ricerca sulle staminali, ha concluso Magistrelli. .

 (ANSA)

  3 Febbraio 2006  Brasile. Staminali adulte contro il diabete

 Un gruppo di scienziati brasiliani ha reso noti i risultati positivi preliminari di una ricerca per il trattamento del diabete di tipo 1 mediante l'utilizzo di cellule staminali. La Facolta' di Medicina della citta' paulista di Riberao Preto

ha preso in esame 10 pazienti, 8 hanno registrato un miglioramento non essendo piu' dipendenti da insulina,

mentre gli altri 2 hanno abbassato la dose quotidiana.
L'esperimento realizzato tra gennaio e marzo del 2004 consisteva nell'autotrapianto di staminali del midollo osseo dello stesso paziente. A distanza di due anni gli otto pazienti non hanno piu' avuto bisogno di insulina, ma ancora non e' chiaro il comportamento delle cellule staminali dentro l'organismo per definire se si sono trasformate in cellule beta (produttrici di insulina) dentro il pancreas oppure se hanno stimolato la rigenerazione di nuove cellule.

Ansa 21.09.2005

E' stato effettuato con successo, per la prima volta al mondo, un trapianto combinato di cellule staminali prelevate dal midollo osseo insieme a cellule del pancreas, su una donna affetta da diabete insulino dipendente. L'intervento e' stato effettuato da un team di clinici italiani all'universita' di Miami, coordinati dal dottor Camillo Ricordi

in una donna italiana di 44 anni.
A due mesi dal trapianto i parametri biologici della donna sono stati definiti ottimi: la glicemia, ha spiegato Ricordi, si e' normalizzata e stabilizzata. ''E' la prima volta - ha detto Ricordi - che abbiamo ottenuto l'indipendenza dall'insulina dopo una singola infusione di cellule che producono insulina e due infusioni di cellule staminali purificate dal midollo osseo di uno stesso donatore''.
Il dottor Ricordi ha spiegato che l'intervento effettuato sulla donna e' il primo di sei autorizzati dalla

Food and Drug Administration.
''La nostra idea - ha aggiunto da Miami - e' quella di purificare cellule staminali dal midollo osseo e far coesistere il sistema immunitario del donatore con quello del ricevente e far accettare meglio le cellule delle isole pancreatiche che normalmente producono insulina. Se questa strategia sara' vincente - ha aggiunto -

pensiamo di poter in futuro diminuire i farmaci immunoppressori.

 Quello effettuato fino ad ora e' il primo trapianto combinato del genere - ha sottolineato - e l'obiettivo e' di trasferire le tecniche dello studio nei centri italiani dove si effettuano trapianti di isole pancreatiche''.
''Da quando abbiamo effettuato il primo trapianto di isole pancreatiche nel 1990 - ha detto Ricordi - ci siamo concentrati sullo sviluppo di strategie per ridurre o eliminare nel tempo i farmaci antirigetto. E' presto per dire se questo studio ci permettera' di raggiungere questo obiettivo ma siamo davvero entusiasti di questo iniziale successo''.
Le procedure della ricerca condotta negli Stati Uniti richiedono l'uso di donatori multipli; quando un donatore e' disponibile i medici prelevano anche il midollo osseo dal quale estraggono le cellule staminali.
I ricercatori sperano che con questa strategia combinata si possa creare il cosiddetto 'chimerismo', cioe' una condizione nella quale le staminali del donatore potranno coesistere con il sistema immunitario del ricevente.
Il primo paziente trapiantato, una donna italiana, grazie all'innovativo ma ancora sperimentale intervento, non ha bisogno da due mesi di insulina mentre continua ad assumere farmaci antirigetto. Se i parametri rimarranno positivi, in futuro si valutera' la possibile sospensione anche di questi medicinali.

Organoidi contro il diabete

 Miami – Il trapianto di organoidi potrebbe rappresentare il futuro della terapia del diabete. Piccole strutture ibride, per metà inerti e per metà viventi, da impiantare sotto la pelle o nell’addome, capaci di produrre insulina per tempi lunghi. In attesa che il sogno delle staminali possa diventare realtà. L’idea è di un italiano, Camillo Ricordi che dirige il Diabetes Research Institute alla Miller Medical School di Miami, uno dei più prestigiosi degli Stati Uniti.

«Gia oggi si ricorre al trapianto di isole pancreatiche, produttrici di insulina– spiega Ricordi. – Le cellule vengono iniettate nella vena che arriva al fegato e l’organo, grazie a questa operazione di ingegneria tessutale, comincia a funzionare anche da pancreas»

Ma non sempre questi trapianti durano e lungo: dopo 4 o 5 anni ne funziona l’80 per cento, ma soltanto nel 20-30 per cento si può fare a meno dell’insulina. E comunque richiedono una terapia immunosoppressiva che serve per evitare il rigetto del trapianto e anche per impedire che l’organismo replichi i meccanismi di aggressione verso le cellule che hanno provocato il diabete stesso.

Per questo motivo si cerca di «proteggere» le isole in modi diversi. Per esempio incapsulandole, una per una, in microsfere. Ma non è l’ideale. Le nuove macrocapsule proposte da Ricordi, invece, presentano alcuni vantaggi: riescono a contenere più isole, senza schiacciarle, e sono dotate di piccolissimi fori. Questi ultimi lasciano entrare i capillari che via via si formano attorno alla capsula. Così vengono assicurati ossigeno e nutrienti alle cellule che, in questo modo, sopravvivono di più.

I primi esperimenti condotti da Ricordi e presentati in anteprima a Miami nel corso del primo Italy - Americas medical congress, suggeriscono una durata di oltre quattro mesi negli animali da esperimento.

«I possibili candidati a questo tipo di terapia? - Risponde Ricordi. – Buona parte dei diabetici di tipo primo, quello giovanile, che non rispondono più all’insulina e anche quelli di tipo secondo, che insorge nell’adulto. Complessivamente potrebbero essere dieci milioni negli Stati Uniti e 2 milioni in Italia»

Il gruppo di Ricordi ha pubblicato su Nature di questa settimana un altro lavoro di grande importanza scientifica: la dimostrazione che esistono, nei linfonodi vicino al pancreas, cellule del sistema immunitario, chiamati linfociti T , capaci di distruggere una porzione di insulina e di innescare la distruzione delle isole pancreatiche che la producono. E’ un risultato che potrebbe aiutare nella costruzione di un vaccino per prevenire il diabete.

«Se è vero che l’insulina è una delle molecole bersaglio dell’aggressione immunitaria responsabile del diabete – commenta Alberto Pugliese, immunologo all’Università di Miami - dobbiamo cercare di impedire quest’ultima. Come? Somministrando insulina per bocca, ad esempio, in modo da rendere l’organismo “tollerante” e non più aggressivo»

Come dire che l’insulina potrebbe essere usata come una sorta di vaccino capace di prevenire il diabete nelle persone a rischio. E i primi esperimenti lo confermano. Il diabete è una malattia che colpisce oggi 150 milioni di persone in tutto il mondo (il 10 per cento soffre di diabete di tipo primo): è già un’epidemia, ma si prevede che nei prossimi anni i casi raddoppieranno: 300 milioni nel 2020.

Adriana Bazzi

12 maggio 2005

Da: http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2005/05_Maggio/12/ART_dia bete-organoidi.shtml

DIABETE GIOVANILE: L' INSULINA SCATENA LA MALATTIA

 (ANSA) - ROMA, 11 MAG - Trovata finalmente la causa scatenante del diabete giovanile: e' lo stesso ormone insulina che l'individuo produce prima di ammalarsi a scatenare la risposta auto-immunitaria alla base della malattia. A dare la notizia e' la rivista Nature, con due ricerche condotte, indipendentemente, da George Eisenbarth del Health Sciences Center presso la University of Colorado a Denver e David Hafler, della Harvard Medical School di Boston.

La scoperta rappresenta un balzo in avanti nella comprensione dei complessi meccanismi biologici di questa malattia e apre la strada a nuove possibilita' preventive oltre che terapeutiche.

Il diabete giovanile, che colpisce negli Usa un giovane ogni 400-500, e' una malattia autoimmune in cui cioe' il sistema immunitario della persona diventa suo nemico andando a distruggere le cellule produttrici di insulina, ovvero le cellule beta nel pancreas. Senza di esse il corpo rimane sprovvisto dell'ormone che e' invece vitale per controllare il metabolismo degli zuccheri e regolare la glicemia. Coloro che si ammalano sono costretti ad iniezioni di insulina mentre si va facendo strada la possibilita' del trapianto di nuove cellule beta.

Nonostante tutte queste informazioni, per anni e' rimasto il mistero su cosa scateni la malattia, vale a dire cosa faccia impazzire il sistema immunitario innescando il processo di autodistruzione del pancreas. Di certo la malattia ha alla base fattori genetici che determinano la diversa suscettibilita' individuale. Ma la suscettibilita' non necessariamente porta ad ammalarsi, quindi ci sono altri fattori in gioco. Gli esperti di tutto il mondo si sono avvicendati proponendo ipotesi come infezioni o altri agenti esterni che stuzzicano le difese del corpo accendendo la miccia che fa scattare il diabete.

Ma la vera risposta sembra arrivare con i due lavori pubblicati sulla rivista britannica.

Nel primo, topolini destinati a divenire diabetici sono stati geneticamente modificati in modo da divenire incapaci di produrre la propria insulina che viene sostituita con insulina ottenuta con metodi biotecnologici. Questi topolini che crescono senza la loro insulina rimangono al riparo dal diabete e non si ammalano come altrimenti avverrebbe loro.

Nel secondo studio invece, condotto su pazienti diabetici, gli esperti hanno isolato le loro cellule immunitarie dai linfonodi pancreatici e le hanno testate in vitro. Il 50% di queste cellule riconosce l'insulina umana e reagisce con essa. La stessa prova invece, ripetuta con le cellule immunitarie di individui sani, da' un esito del tutto diverso: le cellule di difesa di individui sani in nessun caso riconoscono e reagiscono con l'insulina umana.

Tutto lascia quindi pensare che la risposta al perche' ad un certo punto in individui predisposti il sistema immunitario vada a far danni va cercata nell'ormone prodotto dai futuri diabetici prima che il loro pancreas venga messo KO dalla malattia.

Le prossime indagini verteranno a far luce su questo punto, hanno concluso gli esperti.(ANSA).

Il Dr Camillo Ricordi, ricercatore italiano presso l'University of Miami negli Stati Uniti e presidente dell'ISMETT di Palermo, nonche' Professore di Chirurgia e Direttore Scientifico del DRI di Miami, ha cosi' commentato: "In pratica abbiamo trovato che i linfociti prelevati dai linfonodi che drenano dal pancreas di soggetti diabetici di tipo 1 riconoscono specificamente un segmento della molecola insulinica (A1-15, catena alfa), indicando che questo potrebbe essere il target della risposta autoimmune."

A Palermo un fabbrica di staminali                                 dall'Aduc                                                            

 Una 'fabbrica' di cellule staminali per la cura dei pazienti degli ospedali del Sud Italia e dei Paesi del Mediterraneo. E' la sfida che l'Ismett (Istituto Mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione), in collaborazione col centro medico dell'Universita' di Pittsburgh (Stati Uniti) lancia a Palermo.
L'obiettivo a lungo termine e' realizzare nel capoluogo siciliano un centro di ricerca biotecnologica e biomedica per avviare la sperimentazione di terapie cellulari e farmaci relativi.
Il punto di partenza e' un finanziamento del ministero per l'Innovazione di cinque milioni di euro in due anni. "Ma siamo anche alla ricerca di fondi europei e americani" -spiega Bruno Gridelli, direttore scientifico dell'Ismett- vogliamo sviluppare a Palermo un centro che porti alla creazione di un incubatore di aziende biotecnologiche".
Il primo progetto che partira' ha come scopo la valutazione della sicurezza dell'uso di cellule staminali adulte provenienti dal midollo del paziente e coinvolgera' una cinquantina di gravi infartuati.
Tra qualche mese dovrebbe avviarsi anche l'attivita' di trapianto di "insulae" pancreatiche, un metodo innovativo che consente di infondere questi mini-organi, contenenti le cellule beta che producono l'insulina, al posto dell'intero pancreas nei pazienti ammalati di diabete.

Diabete, mamma salva figlia con un trapianto
In Giappone, grazie al primo trapianto di cellule pancreatiche da donatore vivo, una mamma ha guarito e salvato una giovane diabetica. Le cellule di pancreas di una donna di 56 anni hanno guarito la figlia ventisettenne dal diabete grazie all’équipe di James Shapiro, dell’Università di Alberta (Canada).

L’intervento, come riferito in una nota dell’ateneo statunitense, è avvenuto all’Università di Kyoto con la supervisione di Koichi Tanaka e Shapiro il 19 gennaio scorso. La giovane donna, affetta dal diabete giovanile o di tipo 1, era in lista d’attesa dal 2004 per ricevere un trapianto da cadavere. Purtroppo in Giappone le donazioni da cadavere sono scarse e le condizioni della ragazza in attesa si erano pericolosamente aggravate prima del trapianto. Più volte la ragazza era andata incontro a coma per ipoglicemia spingendo i chirurghi a provare la nuova tecnica.

Il diabete giovanile o di tipo 1 è una malattia auto-immune, ovvero il sistema immunitario impazzisce e attacca il pancreas distruggendo le isole di Langherans, le cellule pancreatiche deputate alla produzione dell’ormone insulina. L’insulina serve a regolare il livello di zucchero nel sangue (glicemia). Dopo la digestione la glicemia aumenta. Istantaneamente il pancreas rilascia insulina che fa assorbire zucchero ai tessuti riportando la glicemia a valori normali. Il paziente diabetico non ha più questa capacità e deve assumere l’insulina in concomitanza dei pasti per controllare la glicemia. Tuttavia in molti pazienti la regolazione non è facile e si può andare incontro a cali bruschi di zucchero nel sangue che possono anche provocare uno stato di coma. Per questi pazienti più gravi in certi casi l’unica soluzione diventa il trapianto di isole di Langherans prelevate dal corpo di persone in stato di morte cerebrale. Tuttavia le liste d’attesa per questi trapianti sono sempre troppo lunghe e spesso il paziente non ha tempo di aspettare il suo turno.

Il trapianto da donatore vivo potrebbe essere un’alternativa alla carenza di donazioni da cadavere. Le prospettive sono buone: nella ragazza nipponica il trapianto ha trasformato radicalmente la capacità del suo corpo di controllare il tasso di glucosio nel sangue. Ma il traguardo raggiunto con questa operazione pionieristica va ben oltre la possibilità di accorciare le liste d’attesa, ha fatto notare Shapiro: è molto più sicuro prendere cellule produttrici di insulina da una persona in vita e in buona salute che non usare quelle di un cadavere o di un individuo in condizione di morte cerebrale. Queste infatti possono aver risentito delle basse temperature con cui sono state conservate in attesa di un paziente compatibile. Inoltre la loro salute può essere stata compromessa da tossine messe in circolo nel sangue del donatore in coma irreversibile.

Il trapianto dalla mamma alla figlia non ha comportato nessuno di questi rischi. Prima la donna, 56 anni e sana, è stata sottoposta a intervento per asportarle una parte di pancreas. Poi da questo tessuto i chirurghi hanno isolato le cellule produttrici di insulina. Infine le hanno trapiantate alla figlia diabetica. è stato sorprendente vedere come già a pochi minuti dal trapianto la ragazza ha cominciato a produrre insulina, ha raccontato Shapiro entusiasta. Adesso sarà necessario seguire per lungo tempo i progressi della ventisettenne e di altri pazienti che potranno in seguito sottoporsi alla stessa operazione.

Tratto da: Yahoo Salute
Ricerca a cura di Carmelo D’Alessio

Data ultimo aggiornamento: Giovedì, 17 Febbraio 2005 6:30:00

Diabete addio all'insulina
L'autorizzazione ricevuta dai ricercatori per clonare e creare embrioni da cui estrarre, dopo 14 giorni, le mitiche staminali è rivolta prima di tutto a fornire le conoscenze necessarie per curare il diabete. Una malattia, spiega Stefano Del Prato, direttore della cattedra di diabetologia e docente di endocrinologia dell'Università di Pisa, "che colpisce nel mondo 151 milioni di adulti con un aumento di più dell'11 per cento negli ultimi sei anni".
Professor Del Prato, potrebbero servire, in futuro, le cellule staminali - anche quelle prodotte attraverso la clonazione - per curare il diabete? Ma non esistono già altre cure?
"Il diabete che sarà possibile curare è quello di tipo 1, che colpisce il 10% dei malati di diabete. Una malattia che distrugge tutte le cellule beta che nel pancreas riforniscono di insulina il corpo e che porta spesso a problemi gravi di salute, come l'insufficienza renale, danni alla vista (a volte cecità), neuropatie, rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari. Lei mi chiede se ci sono cure. Si, certo, ce ne sono. C'è l'iniezione di insulina, che può rallentare il decorso della malattia. Da qualche anno esiste anche il trapianto di pancreas, che da' buoni risultati. Più sperimentale e dai risultati più incerti il trapianto dell'intera isola pancreatica, cioè dell'insieme di cellule che nella malattia sono attaccate dal sistema immunitario. Il problema è che per 150 milioni di persone non ci sono donatori sufficienti. Tra l'altro, per ora, si sono fatti solo pochi trapianti da donatore vivente, la maggioranza dei trapianti è fatta togliendo il pancreas a cadaveri. Occorre trovare delle alternative per curare tutti".
Le cellule staminali sono allora un'alternativa per curare anche chi non può arrivare al trapianto. Ma come?
"Il traguardo, la speranza per i pazienti e i medici, è che si arrivi a capire come una cellula staminale totipotente possa trasformarsi in cellula per l'insulina. Noi sappiamo che questo accade in ogni persona, ma ci sono ignoti i meccanismi. Dobbiamo seguire la cellula passo per passo e capire quali meccanismi la rendano trasformabile, differenziata, come si dice nel linguaggio scientifico, fino a diventare una beta cellula, quella che produce gli ormoni insulina. Lei deve immaginare un albero, con alla base una cellula che man mano si differenzia in altre e prende forme e funzioni diverse. Se riusciamo a capire come fa allora glielo possiamo far fare noi. Certo. Possiamo spingere tante cellule staminali a trasformarsi nelle cellule giuste, quelle che producono l'insulina nel pancreas. E le possiamo iniettare nel paziente. A quel punto l'organismo riprende le sue funzioni".
Perché servono cellule staminali ricavate da embrioni?
"In teoria andrebbero bene anche quelle estratte da individui adulti, ma a livello internazionale si è visto che quelle di origine embriogenetica, cioè ricavate da embrioni, sono molto più promettenti".
ROMEO BASSOLI

Primo trapianto cellule pancreas, con protezione antirigetto

 Primo intervento al mondo eseguito in Italia

(ANSA)   ROMA, 28 maggio 2004

E' stato eseguito in Italia il primo trapianto delle cellule del pancreas produttrici di insulina senza la necessita' di cure antirigetto. L'intervento, e' stato eseguito grazie alla collaborazione fra il Policlinico 'Umberto I' di Roma e l'universita' di Perugia. Le microfabbriche di insulina rivestite di una sostanza che le ha rese invisibili al sistema immunitario permettera' al paziente di non sottoporsi piu' alla terapia immunosoppressiva necessaria per evitare il rigetto.

Trapianto di cellule contro il diabete
Al San Raffaele di Milano ricerche d'avanguardia Italia-Usa
La terapia genica, la farmacogenetica (farmaci mirati), la trapiantologia, l'immunoterapia, sono tra le aree più innovative della medicina. La ricerca avanza e si stanno compiendo progressi superiori alle aspettative. Tra pochi anni nuove cure saranno disponibili. Un tempo il diabete di tipo 1, cioè insulino-dipendente, rappresentava una autentica condanna a morte, oggi sappiamo che presto molti diabetici potranno fare a meno della stessa iniezione quotidiana di insulina che consente di diminuire il glucosio, cioè gli zuccheri, nel sangue e di vivere normalmente.
In Italia vi è un Centro di eccellenza diretto dal professor Antonio Secchi presso l'ospedale San Raffaele di Milano, che si occupa del trapianto di cellule. Sta sviluppando queste ricerche grazie alla collaborazione ed ai finanziamenti per cinque anni del National Institute of Health (NIH) il più importante organismo sanitario degli Stati Uniti.
"Il nostro programma Immuno Tolleranza Network (ITN) - afferma il professor Secchi - intende raggiungere vari obbiettivi: tolleranza nei trapianti, tolleranza nelle malattie autoimmuni (diabete, artrite reumatoide, psoriasi), asma bronchiale, indicatori di tolleranza nel sangue. Le nostre ricerche fanno parte di un progetto allargato che viene sviluppato da altri due Centri europei: l'Ospedale universitario di Ginevra ed il Centro universitario di Giessen in Germania. Anche questi Istituti vengono finanziati dall'NIH americano. A Milano abbiamo già effettuato ricerche cliniche per due anni e continueremo nei prossimi tre".
Il professor Secchi, allievo del professor Pozza, uno dei più affermati diabetologi italiani, ha iniziato ad occuparsi di trapianti di pancreas nel 1981 a Lione, dove, per la prima volta al mondo, in contemporanea con Minneapolis e Stoccolma, venne applicata una metodologia di avanguardia. Oggi vi sono decine di Centri nel mondo che complessivamente in questi anni hanno effettuato 15 mila interventi. I trapianti di isole di Langerhans sono molto più rari: negli ultimi due anni il professor Secchi ne ha compiuti 25, su un totale di 65 dall'inizio dell'attività. Nel mondo ne sono stati compiuti di 400.
"Il trapianto di cellule delle isole di Langerhans ci ha permesso in 60 casi su cento di superare l'insulino-dipendenza. Questo risultato - afferma Secchi - lo abbiamo ottenuto grazie ad una terapia immunosoppressiva efficace con conseguenti effetti collaterali. Ora si vuole ottenere lo stesso risultato con l'impiego di farmaci con un profilo di tossicità più basso o perfino con la soppressione della terapia anti-rigetto. In Italia queste ultime ricerche vengono sviluppate solo dal nostro Centro del San Raffaele e sono finanziate dal Jovanile Diabetics Foundation (JDF), dal ministero della salute, dal ministero della ricerca. Il trapianto di Pancreas e quello delle isole di Langerhans non solo consentono di superare l'insulino-dipendenza, ma anche di prevenire o far regredire le complicanze degenerative del diabete: dalle cardiopatie (infarto, ictus, scompenso) alla cecità (retinopatia diabetica) , alla dialisi (nefropatie), alle vasculopatie periferiche che possono evolversi in gangrene (in Italia si hanno 15 mila amputazioni l'anno degli arti inferiori per questa causa).
I risultati raggiunti al San Raffaele di Milano sono stati ottenuti grazie alla stretta collaborazione ed alla sinergia con l'équipe chirurgica, diretta dal professor Valerio Di Carlo (decisivo l'apporto del dottor Carlo Socci)
Non tutti i diabetici di tipo 1 (600-700 mila in Italia) possono e potranno utilizzare queste procedure.
"Le attuali indicazioni per beneficiare di questa terapia - precisa il professor Secchi - sono condizionate da alcuni elementi: almeno cinque anni di malattia, grave scompenso metabolico nonostante una cura insulinica adeguata, presenza di complicanze degenerative aggressive. Vi sono inoltre numerose condizioni (cattiva funzionalità di fegato e reni, presenza di una malattia virale, preesistenti tumori) che rendono inapplicabile il trapianto. Il Centro San Raffaele è disponibile a fornire ulteriori informazioni su questi temi: tel.0226.43.25.75 - www.hsr.it
Il primo trapianto di cellule pancreatiche è avvenuto a Londra nel lontano 1891: il chirurgo WiIliarns trapiantò estratti di pancreas di pecora in un giovane diabetico. Nel 1922 Banting e Best a Toronto in Canada scoprirono l'insulina che ha salvato la vita a milioni di malati. Per queste ricerche ottennero il Nobel. Una nuova pagina anch'essa importante nella terapia del diabete sta per essere scritta dal trapianto di cellule di Langerhans. I ricercatori italiani sono in prima linea.
LUIGI CUCCHI

Con la milza che produce insulina il diabete ha ormai i giorni contati
BOSTON - Il diabete potrebbe essere a un passo dalla sconfitta, grazie agli straordinari risultati sperimentali ottenuti da un team di ricercatori del Massachusets General Hospital: gli studiosi americani, guidati da David Nathan, sono riusciti infatti a costringere la milza di alcune cavie malate di diabete a produrre insulina; in molti casi il decorso della malattia è stato bloccato, mentre alcuni dei topi da laboratorio utilizzati per l'esperimento sono guariti del tutto. Il diabete è una malattia che colpisce circa 194 milioni di persone nel mondo, e i diabetici di tipo l non riescono a produrre in nessun modo l'insulina (necessaria per metabolizzare gli zuccheri) e sono costretti ad assumere questa sostanza via vena per tutta la vita. Normalmente l'insulina viene prodotta dalle cosiddette isolette pancreatiche, le cellule che, come si può intuire, fanno parte del pancreas: queste ultime non vengono più riconosciute dall'organismo del diabetico come proprie e di conseguenza vengono distrutte. Milza e pancreas costituiscono un sistema unitario, e studi precedenti hanno dimostrato che, trapiantando in cavie malate un certo numero di cellule della milza provenienti da topi sani, è possibile "rieducare" il sistema immunitario degli animali diabetici, "costringendolo" cosi a ricevere anche delle isolette pancreatiche di provenienza esterna. Nathan ha compiuto un ulteriore passo avanti: dopo una serie di trapianti di cellule di milza sane le cavie malate hanno infatti cominciato a produrre per conto proprio delle isolette pancreatiche nuove di zecca, guarendo così da diabete.
Tratto da: "Libero" del 15.11.03

Giovedì 25 Settembre 2003, 17:43

MEDICINA: SCOPERTA NUOVA STRADA PER CURA DEL DIABETE

(ANSA) - VENEZIA, 25 SET - Le cellule staminali del fegato possono dare vita anche al pancreas. La scoperta, annunciata oggi a Venezia, in occasione del Congresso dell' Associazione Europea Europea per gli Studi sul Fegato (Easl), potrebbe aprire la strada per una cura innovativa del diabete nell'uomo.
Le sperimentazioni, condotte sugli animali con successo, sono state effettuate da Sanjeev Gupta, responsabile del Centro di Epatologia e Ricerche sul Fegato all'Albert Einstein Institute di New York il quale ha prelevato le cellule staminali dal fegato di animali e dopo averle trattate geneticamente le ha reintrodotte nella milza o nella vena porta. Le cellule hanno dato vita ad un microscopico pancreas, l'organo che produce l'insulina, l'ormone che manca nelle persone diabetiche.
Dopo le ricerche condotte sugli animali si pensa dunque di trasferire quanto prima i test all'uomo.

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