Quando si scopre il diabete e quando si torna
a casa
Studio di tre casi
di Maria Jole Colombini
I genitori di un bambino con diabete devono, a
partire dell'esordio, affrontare tre fasi: la prima per l'ospedalizzazione e
l' accertamento diagnostico, la seconda al rientro a casa alla ricerca di
una nuova organizzazione in funzione delle cure, la terza di adattamento a
lungo termine. È noto come inizialmente essi possano sentirsi bersagliati
dagli interventi di tipo medico, dal susseguirsi di informazioni che
rientrano nel programma educativo e che, per l'inevitabile e temporanea
alterazione della loro sfera emotiva, non vengono facilmente assimilate.
Vengono messi a confronto gli atteggiamenti dei genitori quando sono
inaspettatamente coinvolti nella malattia diabetica con quelli del bambino
allorché rientra in famiglia dopo la fase di ospedalizzazione
ALL'IMPATTO CON L'ESORDIO DI DIABETE DEL FIGLIO
I genitori possono assumere atteggiamenti diversi:
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Per ogni bambino l'atteggiamento dei genitori ha un ruolo fondamentale nel
favorire od ostacolare i movimenti fondamentali alla sua evoluzione. Nella
situazione creata dall'esordio di una patologia cronica, la preoccupazione
per la salute del figlio, la stretta dipendenza corporea imposta dalle cure,
particolarmente accentuate se si tratta di un bambino piccolo, le
caratteristiche personali dei genitori sono fattori che influiscono
notevolmente sui loro atteggiamenti.
Al ritorno a casa, dopo l'ospedalizzazione, è importante che il bambino
possa utilizzare le risorse e le potenzialità personali, dedicandosi alle
sue attività, riprendendo i suoi interessi, frequentando di nuovo i
compagni. Al fine di aiutarlo nel difficile processo di adattamento alla
nuova situazione, l'ambiente che accoglie il bambino dovrebbe risultare il
più possibile sereno.
La routine nell'ambito della sua classe e del gruppo di amici, l'attività
sportiva in gruppo possono rinforzarlo e consolidare le sue capacità di
reazione.
Il ritorno a scuola, d'altro canto, può suscitare il timore di un improvviso
malessere, la preoccupazione di non avere vicino una persona competente, in
grado di riconoscere e dominare una eventuale crisi ipoglicemica.
Spetta al genitore, con l'eventuale collaborazione dell'insegnante, aiutare
il bambino, sostenendolo nella fase iniziale di reinserimento.
Alcuni bambini con diabete reagiscono all'esordio, rifugiandosi nel lettone
dei genitori da tempo abbandonato, non accettando di stare da soli in casa,
neppure per brevi momenti. Si tratta di comportamenti più infantili rispetto
all'età cronologica che segnalano richieste di aiuto, di attenzione o di
rassicurazione, che in una prima fase è opportuno accogliere.
AL RIENTRO A CASA DEL BAMBINO
Può essere importante
prevedere:
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una naturale fase di adattamento
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un accoglimento il più possibile rassicurante a casa/a scuola
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la veloce ripresa delle abitudini di vita
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la ripresa di interessi/hobbies
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il tempestivo reinserimento nel gruppo dei pari
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Altri, anche di fronte ad impegni sgradevoli, assumono atteggiamenti
particolarmente maturi e responsabili, offrendo agli adulti l'illusione che
sia possibile gestire il diabete sin dall'inizio in maniera indipendente. Se
tali atteggiamenti non corrispondono ad una sicurezza a livello profondo,
può verificarsi che essi vengano meno di fronte a banali difficoltà. Sia per
i familiari che per i medici è particolarmente difficile riuscire ad
interpretare il comportamento di un "bambino-modello", che non dà problemi,
come rischioso e può accadere che essi rinforzino proprio quella facciata
apparentemente sicura e responsabile, che in realtà nasconde sentimenti di
insicurezza e di timore.
Di fronte al brusco impatto con una situazione clinica irreversibile le
reazioni della famiglia possono rientrare in diverse categorie:
atteggiamento di negazione, tendenza ad attribuire "la colpa" della
condizione a fattori esterni, reazione di tipo depressivo, iperprotezione,
atteggiamento compensatorio. Si collocano nella prima categoria quei
genitori che, non riuscendo ad affrontare i propri sensi di colpa e la
ferita narcisistica, tendono a negare non solo gli aspetti limitanti della
malattia, ma anche il disagio che questa può indurre.
Altri preferiscono considerare gli operatori sanitari, che hanno in cura il
figlio, come "nemici" piuttosto che accettare la realtà. Tali tendenze hanno
una funzione difensiva rispetto alla sofferenza emotiva che l'insorgenza di
una sifatta condizione ha suscitato.
Una reazione di tipo depressivo, in una fase iniziale, è del tutto naturale,
ma se, per caratteristiche personali dei genitori e/o ambientali, il clima
emotivo familiare risulta troppo a lungo cupo e sfiduciato; le capacità di
reazione del figlio possono risultarne indebolite. L'iperprotezione è
generalmente indotta da esigenze di controllo, comuni a tutti i genitori,
accentuate nei casi di malattia.
Molti, per l'esigenza di rassicurarsi sulla salute del figlio, tendono a
tenerlo accanto a se e a non favorire le esperienze esterne alla famiglia.
Abbiamo riscontrato che proprio per il rimanere nell'ambito ristretto della
famiglia, l'essere protetto dai genitori e dai familiari possono attivare
nel bambino pericolosi atteggiamenti di dipendenza.
Egli può essere in tal modo ostacolato nello sviluppo della sua autonomia,
della sua sicurezza emotiva con conseguenze negative per l'idea di se e
l'autostima, già messa a dura prova dalla consapevolezza della malattia e
dei limiti che ne derivano. Alcuni genitori, per istanze che agiscono in
loro a livello profondo, possono tendere a soddisfare ogni richiesta del
figlio come a compensarlo della situazione frustrante, incoraggiando così
dei comportamenti regressivi di dipendenza.
Per questi ultimi atteggiamenti, di iperprotezione o di compensazione, il
bambino può ricevere un messaggio confusivo, che può contribuire a
rinforzare in lui un senso di insicurezza e "diversità".
Per quanto riguarda la fase di adattamento a lungo termine la profonda
angoscia per la condizione del figlio, la preoccupazione per le cure che
richiedono un'attenzione continua, la paura di commettere degli errori nel
dosaggio insulinico in base al consumo energetico e all'apporto calorico e
il timore che il figlio compia trasgressioni nella dieta possono alterare
profondamente i rapporti tra i genitori e i figli.
Una ricerca in Australia indica che i bambini con diabete e i loro genitori,
dopo un periodo iniziale di un anno di stress, in genere raggiungono un
soddisfacente adattamento.
Per il bambino l'esordio del diabete comporta anche il dover affrontare
un'alimentazione particolarmente gravosa, soprattutto se esistono fratelli e
sorelle che non hanno questo problema.
Dal bambino in età scolare, per il quale il confronto con i coetanei è
particolarmente importante, la dieta può essere percepita come un fattore
negativo anche per la sua immagine sociale, in quanto, in diverse occasioni,
la limitazione alimentare lo può far sentire "diverso" agli occhi dei
coetanei.
È molto importante tener conto di questo aspetto per sostenere in lui
un'immagine di se e del proprio corpo sufficientemente valorizzata. È
altresì importante che i genitori dei bambini con diabete tengano conto che
la funzione affettiva ed educativa, nei rapporti quotidiani con i loro
figli, è garantita maggiormente quando il diabete non assume un ruolo
centrale.
Maria Jole Colombini
Clinica Pediatrica III
Istituto Scientifico
H. S. Raffaele - Milano