img                        Steve Redgrave                                             

Steve ha il diabete e ogni giorno deve fare iniezioni di insulina. Steve è baronetto, è un gigante, in Inghilterra è considerato un eroe dello sport. Steve quattro anni fa, ad Atlanta, aveva detto: "Se mi vedete ancora vicino a una barca siete autorizzati a spararmi". Da quella barca no, lui non è sceso. Steve Redgrave ieri si è preso il quinto oro olimpico nel canottaggio, quattro senza. "Ora ha un posto nel libro d'oro della storia dei Giochi", gli ha detto, in premiazione, il presidente del Cio, Juan Antonio Samaranch. "Non lo so ancora, voglio riflettere, parlare con mia moglie, ma potrei anche decidere di continuare fino ad Atene", ha detto Steve, sceso dalla sua imbarcazione, mentre dall'Inghilterra arrivavano i complimenti di Tony Blair, i giornali inglesi titolavano a tutta pagina e a casa sua, a Marlow Button sulle sponde del Tamigi, le campane suonavano a festa e la gente scendeva per strada e si accalcava davanti alla villetta dove vive con la moglie Ann e i tre figli Nathalie, Sophie e Zac.
Steve è uno di quei personaggi che finiscono raramente sul palcoscenico, eppure la sua è una storia di muscoli e fatica, fame e successo, sport come rivincita alla faccia della sfortuna e della povertà. Indietro, allora, anni Settanta. Steve va a scuola, non è un granché. Fatica sui libri, la diagnosi è impietosa: dislessia. Non riesce nemmeno a fare la sua firma. Il suo mondo non coincide con quello degli altri. Una forma molto seria, viene esplulso dal college. A casa pochi soldi, padre carpentiere, madre casalinga, working class inglese. Steve comincia con il canotaggio: è alto, grosso, è in gamba, si capisce subito. Il padre si spacca, ma gli permette di allenarsi, accetta lavori umili perché quel figlio sfortunato riesca in qualcosa. No, non vuole che Steve finisca al pub davanti a una pinta di bitter, la birra calda che fa impazzire gli inglesi, a fare a pugni. No, niente cassette da scaricare negli scali del Tamigi. La fortuna di Steve, come si vedrà più avanti, è fatta di persone. Ma Steve, ma a sua volta sbuffa, si spacca in allenamenti massacranti, con qualsiasi tempo.
Nel 1979 ecco il primo risultato importante: campione del mondo giovanile. Bello, ma soldi zero. Entra in nazionale, due anni dopo vince il primo titolo mondiale. Anni '80: gareggia assieme al fratello Andy, sono una coppia imbattibile, si contendono vittorie e gloria con i fratelloni italiani, Carmine e Giuseppe Abbagnale. 1984, Olimpiadi di Los Angeles, conquista la prima medaglia olimpica, nel quattro di coppia, con i compagni di voga Cross, Budgett, Holmes ed Ellison. Ai giochi di Seul è sul gradino più alto assieme a Matt Pinsett, un altro che segna la sua storia sportiva. Steve è figlio povero, Matt è laureato a Oxford in geografia, è colto, educato, bravo ragazzo di una buona famiglia. Matt è lontanissimo da Steve, eppure funziona. Matt è il capovoga, cioè quello che in barca decide, Steve mette a disposizione rabbia, muscoli: un atleta produce in media una potenza di 200 watt, Steve ne sprigiona il doppio, più di 400. Perfetto. Insieme vincono a Barcellona, ad Atlanta. In mezzo c'è il matrimonio con Ann, osteologa, che diventa il medico della nazionale inglese, la nascita dei figli. "Basta, smetto" , dice ad Atlanta. "No, scusate, ero depresso, ci ho ripensato". Un anno fa, un'altra diagnosi: diabete. Una mazzata. Insulina, dieta alimentare stravolta, la scelta di continuare a vincere. Il resto è storia di ieri.

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