Nicolas Amodio

Amodio: il diabete, la mia forza in campo


Dall’inviato Francesco Marolda - Lanciano - Tratto da Il Mattino, 07/05/2006

C’è chi pensa che un ragazzo col diabete non possa andare in giro, non possa lavorare, fare sport, avere una vita normale e regolare. Ebbene, in questo caso la vera malattia è l’ignoranza. Dubbi? Chiedere ad Amodio per favore. Lui, infatti, Nicolas Amodio, ventitreenne uruguagio di Montevideo, infaticabile mediano, col diabete ci sta insieme da 14 anni. «Sì, lo scoprii che ne avevo nove. Bevevo molto, troppo. I miei mi portarono a fare dei controlli e venne fuori il mio diabete». Diabete giovanile, lo chiamano così quando arriva a quell’età. Sulle prime, si capisce, può essere uno choc. Ma Nicolas fu subito forte. «Già da piccolo andavo in giro per il calcio e così nella borsa assieme alla maglietta e agli scarpini trovò posto anche l’insulina. Imparai presto a farmela da solo. Un’esperienza, una presa di coscienza che mi ha fatto maturare in fretta». E che di sicuro non gli ha rovinato la carriera. Segno evidente che non c’è incompatibilità tra lo sport ed il diabete. «L’importante - dice Nicolas - è controllarsi: insulina, una dieta sapiente e tutta l’attività fisica che vuoi. Paradossalmente - quasi scherza - chi ha il diabete può vivere meglio e anche più a lungo perché fa una vita sana». E non si fa mancare nulla. Manco i dolci. «Oggi - racconta Amodio - senza zucchero se ne trovano in grande quantità. Qualche tempo fa era più complicato, ora no». Non fa fatica, Nicolas, a parlare della sua esperienza. Anzi, proprio la sua vita, la sua storia, la mette al servizio di chi come lui convive con questa malattia. Tant’è che ha accettato d’essere testimonial della terza edizione del torneo interregionale di calcio organizzato a Napoli proprio in questi giorni dall’Aniad, l’Associazione nazionale italiana atleti diabetici. «Vogliamo dimostrare a chi ha questa malattia e soprattutto ai giovani che nulla ci è negato», dice Nicolas nei panni del testimonial o, meglio ancora, di chi vuol essere esempio di successo nello sport. Il che, in verità non è una novità. Non sono pochi, infatti, i diabetici che lo sport abbia ammirato e ammiri: da Bobby Clark, portiere della nazionale Usa di hochey, a Johnsen capitano del Rosenborg; da Gary All che nel nuoto vinse un oro e due argenti a Sidney, al mito del canottaggio Steve Redgreve, capace di vincere cinque medaglie d’oro in cinque olimpiadi diverse. Senza dire, poi, di un certo Alì. Mohammed Alì. «E la ricerca avanza. Chissà, magari - conclude Amodio - tra qualche anno la genetica o chissà che cosa riuscirà anche a vincere questa che ormai è una malattia sociale».

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