La dieta dell'atleta diabetico (clicca sul panino)

 

Attività sportiva ed esercizio fisico

L'attività fisica è un elemento essenziale per il benessere di qualsiasi persona, in particolare se giovane, e ancor più se si tratta di un giovane con il diabete.

Si possono praticare tutti gli sport ed a qualsiasi livello, evitando però sport agonistici ad alto rischio come l'alpinismo e l'immersione subacquea. Non mancano i casi di grandi campioni diabetici.

L'attività sportiva, oltre a far bene alla salute di chiunque, aiuta il giovane diabetico a rendere più regolari e controllabili i livelli di zucchero nel sangue.

 

 

Attività fisica e diabete in Italia

di Gerardo Corigliano

In questo articolo desidero tracciare per grandi linee la situazione dei rapporti fra attività fisica/attività sportiva e diabete mellito tipo 1 (IDDM)/tipo 2 (NIDDM) dal punto di vista metabolico, educativo, organizzativo per come è vissuta in Italia alle soglie del 2000.

Certamente i 6 anni di attività dell’A.N.I.A.D. hanno contribuito in modo decisivo a sollevare nella coscienza e negli interessi del diabetologo la problematica su sport e diabete in passato poco e male affrontata per il persistere di preconcetti ostativi, limitate conoscenze teoriche e pochissime pratiche (nelle scuole di specializzazione non vi è un insegnamento specifico di tale materia) e per la innegabile difficoltà di gestire uno sportivo diabetico specie se insulinodipendente. In questo scenario di aumentata divulgazione, accettazione e diffusione della pratica sportiva, un ruolo non secondario e da attribuire agli stessi atleti diabetici che con tenacia e coraggio hanno "convinto" buona parte della comunità diabetologica italiana con la dimostrazione di un buono stato di forma fisica, attivandosi all’interno delle associazioni di diabetici, "raccontando" con rigore metodologico la loro esperienza e le "soluzioni terapeutiche" da essi adottate anche nel corso di convegni scientifici; accettando di farsi studiare sul campo e in laboratorio per accrescere le conoscenze diabetologiche.

Aspetti metabolici
Diabete tipo 1: l’attività fisica non è essenziale, con i mezzi terapeutici attuali, per il raggiungimento di un buon compenso glicemico. Talora, specie nei soggetti senza alcuna riserva pancreatica (C-peptide negativi) e specie se l’attività è occasionale e prevalentemente anaerobica può essere un fattore di perturbazione dell’equilibrio metabolico.
In soggetti con residuo pancreatico invece l’attività aerobica di endurance, purché regolare, può migliorare il compenso aumentando la sensibilità all’insulina e riducendone il fabbisogno. L’attività fisica regolare è fondamentale nel migliorare la performance cardio-respiratoria, la capillarizzazione muscolare e, quindi, l’ossigenazione tissutale. Nella valutazione del rapporto rischio-beneficio ciò va tenuto in debito conto specie considerando il rischio di microangiopatia insito nella malattia stessa. Non vi sono tuttora studi che chiariscono se una regolare attività fisica aerobica, a parità di compenso metabolico, possa prevenire/rallentare lo sviluppo di complicanze cardiovascolari. Va ricordato, però, che nello studio di Moy il rischio di mortalità era inversamente proporzionale ai quintili di attività fisica settimanali e che un regolare esercizio nello studio DCCT, era parte integrante del programma terapeutico del gruppo in terapia intensiva i cui favorevoli risultati sullo sviluppo di complicanze sono ben noti.

Diabete tipo 2: in questa forma di diabete, l’esercizio fisico regolare, aerobico assieme alla dieta è un perno fondamentale del programma terapeutico. Gli effetti benefici sul metabolismo glicidico e lipidico, la capacità dimagrante, l’effetto "allenante" sul cuore, la possibilità di prevenire alterazioni degenerative sull’apparato osteo-articolare e i risultati positivi sullo stato psichico trovano concorde la comunità diabetologia nel "prescrivere" l’esercizio fisico (più che lo sport) a NIDDM relativamente giovani senza complicanze cardiovascolari.
Recenti ricerche presentate al Congresso A.D.A. di Boston (1997) indicano inoltre, che gli effetti metabolici positivi derivano, più che dall’intensità dell’esercizio (60-70% della Vo2 max), che limita molto il numero dei pazienti elegibili, dalla sua durata e continuità nel tempo.
Recenti, convincenti studi hanno inoltre dimostrato che una regolare attività può prevenire il NDDM in soggetti predisposti e impedire l’evoluzione da ridotta tolleranza ai carboidrati a diabete manifesto.

Livello glicemico e inizio della seduta di A. F.
Per anni noi diabetologi abbiamo considerato il livello di 250-300 mg/dl come il limite oltre il quale la seduta di A.F. non andava intrapresa. Questa convinzione si basava su uno studio di Berger dell’inizio anni ’80 che mostrava come in diabetici scompensati cronicamente ("Ketotic diabetics") l’A.F fosse controproducente e pericolosa per chetoacidosi.
Molti progressi sono stati fatti da allora. I "Ketotic diabetics" oggi sono rari, chi fa sport è trattato con 3-4 iniezioni al dì e assai difficilmente raggiunge quel grado di sottoinsulinizzazione che rende l’esercizio pericoloso. Recenti dati della letteratura e mie osservazioni personali dimostrano che pur con glicemie ben più alte di 300 l’esercizio può essere intrapreso con successo a patto che il paziente sia sufficientemente insulinizzato, in accettabile compenso metabolico e senza corpi chetonici nelle urine.
Spesso poi una glicemia molto elevata esprime un valore postprandiale dovuto ad una colazione molto più ricca in carboidrati come avviene in occasione di maratone. Pertanto riteniamo che l’unico vero limite per intraprendere la seduta di A.F. in diabetici con accettabile compenso non sia il tasso glicemico ma la presenza di chetonuria.

Attività fisica e presenza di complicanze croniche
Fino ad alcuni anni fa si riteneva che tutti gli sports andassero banditi in presenza di complicanze. La stessa legge 115 (che ha ormai 15 anni circa!) prevede per la concessione del certificato di idoneità all’attività agonistica l’assenza di complicanze invalidanti. In questi ulteriori 10 anni, in particolare dopo l’impulso dato dal gruppo della Joslin Clinic di Boston che ha affrontato l’argomento con rigore, l’A.N.I.A.D ha preparato una serie di linee guida che selezionano A.F. consentite ed altre sconsigliate in rapporto alle singole complicanze e al loro livello di progressione. Tali linee guida sono conformi a quanto suggerito dall’American Diabetes Association.

Scelta dell’esercizio fisico
A parte la boxe e gli sports di pilotaggio, tutti gli altri possono essere consentiti ai diabetici con le opportune precauzioni.
Il problema delle attività subacquee è attualmente in fase di revisione. Fatta questa premessa e, considerando che lo sport è un piacere e quindi la sua scelta deve tenere conto dei desideri e delle propensioni di ogni diabetico, (che prima di essere tale è una persona), tutti gli studi condotti, compreso i nostri, indicano che le A.F. prolungate (corse, nuoto, sci e bici di fondo) effettuate al di sotto della soglia anaerobica sono quelle più idonee ed utili per il diabetico. Gli sport di endurance infatti sono aerobici, consentono un attivo allenamento cardiovascolare, contribuiscono al controllo glicemico in quanto consentono un graduale e prevedibile utilizzo del glucosio senza dar luogo a brusche ipoglicemie e possono essere proseguiti anche nell’età adulta e nella maturità.

Aspetti educativi ed organizzativi
Tutti noi consideriamo ormai l’A.F. un eccellente sistema per mettere alla prova la capacità di autogestione della malattia. La pratica sportiva consapevolmente intrapresa infatti "costringe" all’autocontrollo, insegna come adattare alternativamente insulina e apporto di carboidrati al dispendio energetico (è quindi una valida palestra di autogestione), favorisce la socializzazione, migliora l’autostima, allena ad una disciplina di vita, contribuisce dunque a quel saper essere diabetici che è il più alto gradino del processo educativo. In questo senso l’attività delle associazioni è fondamentale e noi dell’ANIAD ci impegneremo sempre di più a diffondere la filosofia dell’esercizio fisico, ripeto ancora, intrapreso con prudenza e preceduto dall’opportuno supporto educativo specie fra i diabetici tipo 2 con l’obbiettivo di favorire una terapia più "naturale" e di ridurre la spesa sanitaria per i farmaci.

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